Una boccata di vento – racconto di Grazia Frisina
Redazione2024-09-02T09:32:12+02:00… e: riandò al pomeriggio di un fine inverno
dal terrazzo si trova a vagolare, con pigrizia, lo sguardo, qua e là, per il campo, mai diverso ai suoi affacci mentali. Finché, quasi come un improvviso destarsi, concentra l’attenzione su un angolo seminascosto, tra il fico e il muretto a secco. La vede bene: piccola, appiattita, pare impagliata, una sentinella immobile, il capino appena sollevato, la coda una falciola appuntita. Chissà! da poco snidata da un tuorlo materno, la lucertolina sta ora sfamando la sua bramosia di vita in una nicchia d’erba, dove un sole primaticcio ha spodestato la fredda ombra. Là vorrebbe trovarsi, al suo posto, come particola in un tabernacolo, in mansuetudine, con i suoi errori, i tortuosi camminamenti, la pioggia consumata nelle ciglia, essere finalmente avvolta dal tepore buono e acerbo di un frutto, priva di attese.
Dedicata a sé stessa
… e: in sé stessa, poi, senza decisione, né coscienza, con inavvertito stupore: sopravvenne e basta, sorda e bassa, dalle costole, una breccia:
quasi a espandere la mente, svuotandola, scansando ogni peso e pensiero: dilata le narici, inspira espira inspira il cielo che dalla collina scivola, caritatevole. E subito si percepisce, con tutto l’essere un rapimento, sconfinare, il corpo non più suo, orbitare intorno a quel piccolo mondo, di dimenticato fermento, compenetrare le singole vite: la lucertola, il germoglio nel ramo storto del fico, l’afrore della foglia che imputridisce fra le sue radici, la rossiccia e ruvida pietra incastrata nel muretto, la cunetta erbosa, persino quella stessa ombra denudata, palpito di velo smembrato dal sole. Le sue cellule, indistinte e in quelle esistenze amalgamate, sono intrise di fame e sazietà, di dolore e compassione, di orrore e bellezza, di forza e fragilità, di calma e tempesta, d’oscurità e bagliore.
Un ritorno a un che di aurorale, di perduto: alla sinfonia e al mistero di cui il firmamento è fatto.
Solo così, espirando e inspirando.
Non una sensazione:
era stato tutto talmente concreto, forse in un solo attimo, una boccata lenta, essenziale, voluttuosa di vento, ogni tassello ben congiunto agli altri tasselli, che pure il tempo, quella mola stridente, s’era sospeso, squarciata la smisurata morte.
Espirando e inspirando, il cielo, la vita interamente.
Un brivido:
rientrò in cucina, lasciando alle spalle che l’inverno terminasse il suo solco.
Uguale al verso di una strofa mormorato fino al mare.
Grazia Frisina