Tra religione e preludi di transumanesimo, ovvero del cosmismo russo
Redazione2025-12-23T10:52:40+01:00Il cosmismo è una corrente di pensiero, che sarebbe riduttivo definire semplicemente filosofica o religiosa, sviluppatasi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e che affonda le sue radici in un’epoca segnata da un senso profondo di smarrimento esistenziale e di inquietudine che – se altrove è stato esorcizzato attraverso la metafisica e le avanguardie – in Russia è germogliato nell’opera di Nikolaj Fëdorov. Tale dottrina si proponeva come una risposta radicale alla crisi della modernità, innestando in un impianto teorico elementi di scienza, fede cristiana ortodossa, utopia sociale e visione antropologica. Il cosmismo, nel suo nucleo, sosteneva l’idea che l’umanità avesse un compito comune: superare la morte, restaurare i corpi dei defunti e guidare la redenzione dell’intero cosmo – processo che sarebbe reso possibile dal progresso tecnico e scientifico, seppur guidato da una tensione religiosa. L’umanità, non più spettatrice silenziosa della propria finitezza, veniva concepita come soggetto attivo della storia universale, chiamata a intervenire sul destino del mondo, abolendo la separazione tra natura e spirito. Il legame con il cristianesimo svelava il suo aspetto più oscuro: la resurrezione dei corpi, principio cardine della fede, non era più collocata in una lontana escatologia, ma veniva caricata di un’urgenza terrestre e collettiva. Questa missione diveniva, nell’immaginario cosmista, assimilabile ad una fatica interminabile, ad una crociata contro l’oblio in cui la morte perde ogni valore salvifico e diviene la nemica suprema.
L’umanesimo cosmico, così delineato, superava i confini antropocentrici dell’Occidente, inglobando l’intera natura e ogni essere in una comunità universale di viventi e trapassati, laddove la responsabilità individuale si mischia a un senso di colpa ancestrale e alla vertigine dell’impossibile. L’antropocosmismo, concetto emblematico del pensiero fëdoroviano, rimanda alla fusione irrevocabile tra uomo e cosmo: l’essere umano era chiamato non soltanto a comprendere il mondo, ma a trasfigurarne radicalmente l’ordine, a riscattare la materia stessa dal suo destino di dissoluzione. In questa visione, la storia non appare come un cammino lineare ma come una lotta titanica contro la rovina e la perdita; la memoria dei morti, la loro resurrezione materiale, si configurano come imperativi etici e pratici, condannando l’oblio a essere vinto dalla tecnica e dalla fede.
Il cosmismo, d’altro canto, influenzò profondamente la letteratura russa: Dostoevskij, immerso nell’abisso della colpa e nella tensione verso la resurrezione, tratteggiava mondi dove il male è una forza che può essere redenta solo attraverso un atto corale; Tolstoj, nella sua ricerca di una verità universale, raccoglie il testimone di una fratellanza che non si limitava ai vivi, ma vuole abbracciare i morti, la natura, il tempo stesso.
Non è un caso che le suggestioni cosmiste abbiano trovato un’eco potente nella corsa allo spazio promossa dall’Unione Sovietica: il desiderio di redimere la materia e di espandere i confini dell’umano si tradusse, nel secondo novecento, in una spinta irresistibile orientata alla conquista del cosmo. Gli scienziati russi, molti dei quali dichiaratamente influenzati dal pensiero di Fëdorov e dei suoi epigoni, non vedevano l’esplorazione spaziale come una mera impresa scientifica, bensì come il compimento di una missione escatologica: portare la vita oltre i limiti terrestri, riscattando l’umanità dal suo destino mortale e dando forma all’utopia della resurrezione universale. In questo senso, la corsa allo spazio divenne una prosecuzione naturale dei sogni cosmisti, in cui la tecnologia si faceva strumento di redenzione e la storia si proiettava oltre i limiti del nostro mondo.
Sullo sfondo di questa visione si stagliava una Russia tormentata, attratta dal sogno di una salvezza totale ma invasa dalla coscienza tragica del proprio destino, del freddo, della guerra. Così il cosmismo rimane come una grande ombra gettata sulla modernità, eco di una speranza disperata che si nutriva dell’impossibilità e del lutto, dove la redenzione si faceva fatica collettiva e la memoria combatteva, cupa, contro il silenzio della storia.
a cura di Marco Marra