Scricciolo – racconto di Francesca Della Bona
Redazione2025-10-20T07:33:34+02:00il seguente racconto è ambientato nello stesso universo narrativo di “Coloro che Vagano nella Morte“, apparso su Gelo
Attraverso i suoi nuovi occhi, vide la piccola sagoma che veniva condotta al suo cospetto.
Qualcosa si mosse dentro l’armatura, stritolato dalla morsa del ferro, ma ancora vivo.
Aveva conosciuto un altro bambino, una volta. L’aveva protetto e amato sopra ogni cosa.
Adesso questa bambina si tormentava le mani nervose e screpolate, e non osava sollevare lo sguardo, i capelli che scendevano come ombre a coprirle il viso. Tremava.
Era minuscola, spaventata.
Uno scricciolo.
L’avrebbe protetta e amata sopra ogni cosa.
***
«Padre, perché gli animali non Vagano nella Morte?»
L’uomo non rispose subito. Il pesce dalle squame scintillanti giaceva sul bagnasciuga. Si era mosso fino a un attimo prima, boccheggiante, tentando disperatamente di tornare nell’acqua, perché i pesci annegavano al contrario.
Ma adesso era morto, proprio morto: gli occhi gelatinosi erano vuoti, se ne scorgeva il fondo grigio attraverso i buchi delle pupille.
Le persone invece non morivano e basta, prima era necessario che una Sorella tagliasse loro il filo.
Ma nessuno recideva il filo dei pesci o degli uccelli o dei cani: quando era morto Rosso, Scricciolo l’aveva vegliato per ore, sperando che si risvegliasse come capitava alle persone. Senza quasi sbattere le palpebre, aveva tenuto gli occhi fissi sul corpo straziato del cane dal pelo fulvo, e gli occhi gli bruciavano, ma temeva che se non avesse guardato abbastanza non sarebbe stato in grado di cogliere il piccolo movimento, il tremito, il segno inequivocabile che Rosso avrebbe iniziato a Vagare; perché anche se Coloro che Vagano nella Morte erano ciechi e sordi e ignari di tutte le cose – estranei al mondo che non gli apparteneva più e al quale loro in cambio non appartenevano –, se Scricciolo avesse potuto avere indietro anche solo un brandello di ciò che Rosso era stato, sarebbe stato sufficiente.
Ma il cane non si era mosso più, e suo padre l’aveva seppellito sotto la sabbia.
Suo padre faceva il pescatore.
Era grande e forte quanto gli alberi che crescevano sulle colline dietro il mare. Stava districando gli anelli della rete con le grosse dita scurite dal lavoro, quasi troppo robuste perché potesse maneggiare qualcosa con tanta delicatezza; eppure ci riusciva. La rete scorreva come un ricamo tra le sue mani, e lui lo disfaceva e lo aggiustava.
«Vagare nella Morte è una punizione» spiegò suo padre senza sollevare lo sguardo. «Una punizione per gli uomini.»
La risacca si infrangeva e si ritirava contro la battigia; si infrangeva e si ritirava all’infinito. Il mare ebbe il tempo di compiere diversi respiri prima che Scricciolo trovasse le parole per chiedere: «Una punizione per che cosa?».
«Per aver compiuto il Male» disse suo padre. «Gli uomini sono le uniche creature che possano compiere il Male, perché sono le uniche creature abbastanza intelligenti per farlo.»
«Allora non dovrebbero essere premiati?» Scricciolo non riuscì a trattenersi, sebbene sapesse che non avrebbe dovuto fare quella domanda. «Se sono più intelligenti delle altre creature.»
«Forse quando useremo il nostro ingegno per compiere il Bene, verremo premiati. Il Culto insegna così.»
«E tu ci credi?» Scricciolo cercò gli occhi del padre per capire cosa ne pensava, perché qualsiasi cosa pensasse suo padre doveva essere quella giusta; ma lui era concentrato sul lavoro e non incrociò il suo sguardo.
«Credo che sia una bella speranza. E serve avere speranza, nella vita. Questo il Culto lo sa.»
«Il Culto sa tutto?»
Suo padre finì di sgrovigliare la rete.
Lentamente, infine, posò i suoi occhi su Scricciolo e Scricciolo si sentì bene, perché suo padre aveva gli occhi buoni. Suo padre compiva già il Bene, secondo lui. Forse allora, quando sarebbe morto, non ci sarebbe stato bisogno di tagliare il suo filo, perché non sarebbe stato punito, non avrebbe Vagato.
Così come non era stato punito Rosso, che era buono e felice, e non aveva mai fatto alcun Male.
«Il Culto sa molte cose, ma non sa tutto» disse suo padre. «Nessuno sa tutto. Alcuni potranno dirti il contrario, ma staranno fingendo, per paura o per tornaconto. Questo ricordatelo.»
Scricciolo annuì.
«Ora aiutami. Dobbiamo prendere l’acqua per i tuoi medicamenti.»
Suo padre raccolse la rete, il pescato e recuperò un secchio; porse a lui un secchio più piccolo, Scricciolo lo prese e zoppicò sul bagnasciuga verso il mare.
La risacca consumava le sue impronte. La sabbia molle ben presto ricoprì i suoi piedi, nascondendoli.
Se fosse rimasto lì sul bordo del mare, nessuno si sarebbe mai accorto di che cos’era in realtà. Così poteva essere solo un bambino.
Se fosse rimasto sul bordo del mare, forse Rosso non sarebbe morto e lui avrebbe avuto ancora il suo amico.
Rosso correva lungo la battigia sollevando grandi schizzi, con la lingua penzoloni e le orecchie che si appiattivano nel vento. E Scricciolo rideva, immaginando di correre insieme a lui, tramite lui.
Ma quando il mare riempì il suo piccolo secchio, Scricciolo liberò i piedi dai loro bozzoli di sabbia e trovò che niente era cambiato.
Si avviò zoppicando dietro il padre, che procedeva adagio, e cercò di camminare nelle sue grandi orme, per non lasciare impronte sbagliate, anche se poi il mare avrebbe cancellato tutto.
«Padre, perché l’acqua di mare mi fa bene?»
Il sole era tramontato nel mare e Scricciolo aveva posto la domanda a denti stretti, perché il piede gli doleva e parlare lo aiutava a non pensarci.
Suo padre intinse il panno nell’acqua che profumava di salmastro, riscaldata sulla fiamma come uno strano brodo, e con la stoffa imbevuta frizionò la caviglia di Scricciolo, livida e annodata, e il suo piede torto. «Il sale purifica» disse.
Ogni volta che lo massaggiava, le giunture contratte di Scricciolo scattavano e scrocchiavano, ma non era quello a far male; non il tocco di suo padre.
Il dolore vero era più profondo e proveniva dalla carne, dai muscoli e dai tendini, da dentro le ossa.
Di notte, quando se ne stava immobile nel letto a fissare il soffitto della capanna, Scricciolo aveva quasi l’impressione di poter sentire le sue ossa spezzarsi piano, scricchiolando nell’oscurità, e piegarsi al contrario ogni lento secondo che passava, allo stesso ritmo impercettibile con cui il suo corpo faceva crescere le unghie o i capelli.
Scricciolo chiuse gli occhi, mentre suo padre gli massaggiava la pianta del piede e poi le dita contorte simili a orridi trucioli, riportando sensibilità all’arto maledetto.
Il panno scomparve dalla sua pelle, venne strizzato, l’acqua gocciolò dolcemente nel catino.
«Che cosa purifica il sale?» chiese a suo padre.
«Le ossa. Le ossa sono fatte di sale, come il mare. L’acqua di mare sostituisce il sale cattivo con quello buono.»
«Quindi l’acqua di mare lava via il morbo torto?»
Suo padre continuò a strofinare, instancabile. Dalla sua carezza costante iniziò a nascere un tiepido sollievo.
Scricciolo aprì gli occhi.
Il padre non lo guardava, impegnato nel lavoro. Quando capì che non gli avrebbe risposto – forse non l’aveva udito –, Scricciolo insisté: «Se mi immergessi nel mare e nuotassi a lungo, forse…».
«No» disse suo padre.
Stavolta incontrò il suo sguardo con occhi severi, a Scricciolo parvero lunghi chiodi di ferro che si conficcavano nei suoi, bloccandolo dov’era.
«Non è così che funziona. Non puoi nuotare al largo e allontanarti, è pericoloso.»
Scricciolo chinò il capo. «Scusa, padre…»
Il padre sospirò, un soffio potente attraverso le narici. «Il mare non può lavare via il morbo torto» spiegò a bassa voce. Scricciolo osò lanciargli un’occhiata da sotto le ciglia. Suo padre gli massaggiava il piede, sciogliendone il dolore. «Se il mare avesse potuto guarirti non pensi che l’avrei già costretto?» C’era un sorriso nascosto nel folto della sua barba. «Come lo costringo a darmi tutti i giorni i suoi pesci più buoni per te?»
Con uno scatto, il padre gli solleticò le costole facendolo ridere forte.
Ma c’era un altro tipo di dolore che il suo tocco gentile non poteva sanare.
Quando lo mise a letto, col piede fasciato stretto, gli rimboccò le coperte e gli accarezzò i capelli con la mano salata.
Però Scricciolo pensava e non poteva dormire. Era vero: suo padre era buono e forte, così forte che avrebbe domato persino il mare per guarirlo.
Se suo padre non poteva, significava che non era possibile.
Forse per la prima volta intuì davvero che cosa sarebbe stata la sua vita.
Scricciolo trovò lo straniero seduto sullo scoglio piatto in riva al mare.
Non ricevevano mai visite sulla loro spiaggia.
Nessuno voleva andare lì e di contro loro non andavano mai al villaggio. In passato, suo padre vi si recava solo di rado : scambiava un po’ del pesce che pescava e dei molluschi che staccava col coltello dagli scogli in cambio di cose che a loro mancavano; ma ormai, dopo ciò che era accaduto a Rosso, non ci metteva più piede.
E Rosso ci era andato soltanto una volta, quando si era avventurato lontano per inseguire qualche gatto o magari una volpe , ed era stata anche l’ultima.
Il villaggio se ne stava al di là delle colline che delimitavano il loro angolo di mare, in agguato. Ma finché Scricciolo non si faceva vedere ed era prudente e non si allontanava, era al sicuro. Suo padre lo proteggeva. Nessuno poteva varcare la soglia del loro mondo fatto di sabbia e sale.
Eppure lo straniero sedeva sullo scoglio piatto in riva al mare.
Non sembrava uno del villaggio. Anziché braghe e camicia, indossava lunghe vesti scure, di una stoffa quasi liquida, e quando si accorse di Scricciolo si voltò schermandosi gli occhi con la mano e gli sorrise rivelando una fossetta sulla guancia.
Doveva essere più giovane di suo padre e non gli somigliava affatto; il suo viso sbarbato era liscio e pallido, non cotto dal sole e reso ruvido dal mare: il viso di qualcuno che ha vissuto all’ombra, e i suoi occhi sembravano troppo grandi dentro quei lineamenti delicati.
I suoi occhi, pensò Scricciolo, avvicinandosi quasi senza volerlo, sembravano contenere tante cose, che forse lo straniero aveva appreso leggendo e studiando. Adesso quelle cose abitavano nella sua mente, ma vi erano entrate attraverso gli occhi, grandi porte castane spalancate, con le pupille strette dal sole.
Scricciolo avrebbe voluto parlare, domandare, ma rimase zitto, tormentandosi le mani, nascondendo il piede torto dietro quello buono.
Sarebbe dovuto tornare in casa, ma l’aria dello straniero lo costringeva a rimanere lì.
«Il mare è molto bello oggi» constatò quello in tono pacato. Chiuse gli occhi e reclinò leggermente il capo, godendosi la luce sulla pelle. «Il tempo ideale per pescare.»
Scricciolo annuì. «Mio padre fa il pescatore» disse. «È andato a pescare con la barca.»
«È quella laggiù?» chiese lo straniero indicando un puntino in lontananza, che appariva e scompariva tra le insenature della costa.
Scricciolo mosse un passo nella sua direzione, poi un altro e un altro ancora. Erano quasi fianco a fianco adesso. «Sì è quella.»
«Una barca solida! Scommetto che tuo padre è molto bravo a lavorare il legno.»
Scricciolo annuì con più vigore. «Sì, la nostra casa l’ha costruita mio padre» disse orgoglioso, e indicò la piccola capanna alle loro spalle, cinta dalle dune di sabbia, con le stringhe di conchiglie appese alla trave che suonavano nella brezza .
Lo straniero emise un fischio sommesso, e Scricciolo sorrise. «Vorrei avere un talento simile!»
«Mio padre sa fare tante cose!»
«Per esempio?»
«Sa cucire, cucinare il pesce… A volte mi costruisce dei bottoni con le conchiglie, dei bottoni lucenti. Come questo.» Scricciolo indicò il piccolo bottone di madreperla che gli teneva chiuso il colletto della camiciola, e l’altro osservò con interesse. «Fa un giaciglio molto morbido per dormire, mi pettina i capelli e li taglia quando diventano troppo lunghi. E poi…» Scricciolo si bloccò. Lo straniero non aveva dato segno di essersi accorto del suo piede, e lui non doveva parlargliene.
L’uomo parve intuire il suo dilemma e si limitò a sorridergli di nuovo. «Sono davvero tante cose, non hai mentito.»
«No, io non dico le bugie. Non si deve mentire e non si deve ferire.»
«Te l’ha insegnato tuo padre?»
Scricciolo annuì.
L’altro annuì a sua volta. «Un uomo saggio.»
Rimasero per qualche istante in silenzio. Lo straniero respirò a pieni polmoni e tornò a fissare l’orizzonte. Sembrava che cercasse di misurare con lo sguardo dov’è che s’incontrassero esattamente il mare e il cielo. «Dev’essere bello vivere qui. Quando avevo la tua età non sapevo neppure che cosa fosse, il mare.»
Scricciolo sgranò gli occhi. «Davvero?» Non riusciva a immaginare una vita senza il mare. Era tutto ciò che conosceva. Il suo respiro regolare che scandiva il tempo, la salsedine attraverso cui ogni percezione veniva filtrata, l’abbraccio accogliente dell’acqua o la sua furia sferzante.
Lo straniero assentì con aria grave. «Davvero. Nemmeno io uso mentire, sai. Ho visto il mare per la prima volta quando ero già un ragazzo. Grazie al Culto.»
«Il Culto?» fece Scricciolo.
«Sono un Fratello del Culto» rivelò lo straniero. «Divenni novizio quando ero alto più o meno quanto te, ma da allora sono cresciuto e ho viaggiato molto.»
«Oh.» Scricciolo sentiva le domande bruciargli sulla lingua. Voleva chiedergli così tante cose che non sapeva da dove iniziare.
L’altro parve di nuovo leggergli i pensieri come se fossero scritti sul suo viso. «Mi chiamo Fratello Vinto.» Lo disse col sorriso sulle labbra, ma Scricciolo era confuso.
«Che nome è?» Ormai erano uno accanto all’altro, vicini. Scricciolo fissava il viso giovanile di Fratello Vinto quasi senza sbattere le palpebre; voleva sapere, scoprire, parlare con qualcuno che veniva dal mondo oltre la loro piccola spiaggia.
«Quando diventi un Fratello del Culto ti scegli un nuovo nome» spiegò quello. «Scegliamo il nome di qualcosa che ci spaventa, della nostra debolezza peggiore, di ciò che non vogliamo essere. Ti sembra strano?» Fratello Vinto sorrise.
A Scricciolo piaceva il suo sorriso, e che lui fosse così generoso nell’elargirlo. Finora aveva conosciuto soltanto il sorriso di suo padre, che però era qualcosa di diverso, nascosto, un segreto di cui solo Scricciolo veniva messo a conoscenza.
«Un poco…»
«Lo facciamo come preghiera» spiegò Fratello Vinto. «Per fortificarci. Ogni volta che qualcuno chiama il nostro nome veniamo messi di fronte alla nostra paura e quindi meditiamo su di essa, su cosa fare per sconfiggerla e far sì di non appartenerle mai. Così, prima o poi, sarà la paura ad appartenere a noi, e noi potremo dominarla.»
Scricciolo sbatté le palpebre. Si rese conto solo in quel momento di avere la bocca lievemente spalancata, e si affrettò a chiuderla. La stoffa della veste di Fratello Vinto scintillava al sole e allora si accorse che non era proprio nera, ma rifletteva la luce come il piumaggio di certi uccelli. Non aveva mai visto una stoffa così bella… Non riuscì a trattenersi e ne sfiorò un lembo con le dita, all’altezza della spalla di Fratello Vinto, laddove i suoi capelli lunghi, quasi da fanciulla, ricadevano.
«Ma quindi tu di cosa hai paura?» gli chiese.
«Di molte cose» rivelò il Fratello. «Della pigrizia, dell’arroganza, del dubbio. Che il Male, nelle sue molte forme, mi vinca. Per questo ho scelto questo nome.»
«Mio padre mi chiama Scricciolo» disse lui. «Perché sono molto piccolo» precisò. Gli venne in mente che forse anche suo padre l’aveva chiamato così come preghiera, perché aveva paura di qualcosa.
«Vedi? Abbiamo entrambi un nome che ci è stato dato da qualcuno che amiamo.»
«Tu ami il Culto?»
«Il Culto ci ama tutti, quindi mi sembra giusto amarlo in cambio. Non credi?»
Se il Culto amava tutti, tutti dovevano amarlo? Sembrava sensato, però a Scricciolo non pareva di amare il Culto. Amava suo padre, amava il mare, amava Rosso, anche se non c’era più…
Il pensiero di Rosso lo fece come risvegliare.
Non bisognava fidarsi degli estranei.
Rosso si era fidato degli estranei. Il giorno in cui si era allontanato, gli abitanti del villaggio l’avevano attirato con richiami invitanti e bocconi di cibo, fingendosi gentili, e poi Rosso era tornato a casa trascinandosi, a morire.
Scricciolo indietreggiò.
La sua mente era veloce, il corpo non poteva starle dietro. I suoi piedi spaiati inciamparono l’uno nell’altro e lui perse l’equilibrio. Sarebbe capitombolato nella sabbia se la mano di Fratello Vinto non fosse scattata, sorreggendolo. Non era la mano con cui aveva indicato la barca prima, la destra. Era la sinistra, che finora era rimasta celata tra le pieghe della manica della lunga veste.
La sua mano sinistra era fatta di ferro.
Scricciolo osservò quelle lunghe dita lucenti strette attorno al proprio braccio, attonito al punto da non avvertirne quasi il tocco freddo sulla pelle. Sembrava che indossasse il guanto di un’armatura, ma all’altezza dell’avambraccio, laddove il ferro finiva, esso si fondeva con la carne in una cicatrice pallida e frastagliata.
Fratello Vinto lo aiutò a rimettersi dritto, poi lo lasciò andare dolcemente. La mano di ferro scomparve di nuovo nel buio della manica, come una murena scintillante che si ritrae in una caverna.
Il Fratello gli sorrise.
«Il Culto ci ama tutti» disse, «soprattutto coloro che soffrono. L’amore del Culto mi ha salvato.»
«Ti ha salvato?» Scricciolo parlò in un sussurro, non sapeva perché, ma sembrava che il Fratello gli stesse rivelando un segreto e i segreti si confidavano a bassa voce. «Da che cosa?»
Con un brillio, gli occhi di Fratello Vinto lasciarono i suoi e si posarono sulla sabbia, dove il suo piede maledetto dal morbo torto stava seminascosto, un orrido granchio di carne.
«Perché non mangi?» gli chiese suo padre.
Scricciolo immergeva il cucchiaio nella zuppa che sapeva di mare, ne rimestava i torbidi contenuti, lasciava la mente nuotare. «Non ho tanta fame.»
La mano grande del padre calò sulla sua fronte seppellendogli gli occhi, ruvida, e ne saggiò la temperatura con tocco esperto. «Ti senti male? Hai dolore?»
Lui scosse il capo, sottraendosi a quella carezza pesante.
«E allora?»
Scricciolo respirò e basta, muto.
«Tu hai detto» iniziò piano, «che alla propria morte, gli uomini Vagano per punizione. Perché compiono il Male.»
Suo padre lo fissava da sotto le ombre aggrovigliate delle sopracciglia, attento.
«E hai detto pure» continuò Scricciolo «che il sale purifica le mie ossa, che sono piene di sale cattivo. Quindi vuol dire che io sono maledetto dal morbo torto… per punizione?»
Scricciolo non poteva respirare, soffocato da quella domanda. Il padre rimase in silenzio.
«Perché devo essere punito?» Adesso la piena delle sue parole non si poteva più arrestare. «È perché non amo il Culto? Fratello Vinto ha detto che il Culto ci ama tutti, quindi è giusto amarlo in cambio. Se imparassi ad amare il Culto…»
«Fratello Vinto?» Pronunciato da suo padre, quel nome perdeva la dolcezza che aveva nella bocca di Scricciolo. Sembrava qualcosa di brutto e doloroso, una spina conficcata nel palato.
Scricciolo sentì le gambe farsi acqua. «Io non…»
«Chi è Fratello Vinto?»
Scricciolo abbassò gli occhi sulla zuppa, acqua di mare in cui galleggiavano i cadaveri delle cose che vi avevano abitato.
«Non te lo chiederò un’altra volta.»
La rabbia di suo padre era terribile da guardare, come quella del mare. Scricciolo non aveva avuto intenzione di provocarla, ma ora…
«È un Fratello del Culto» glielo disse. «Era qui sulla spiaggia, mentre tu eri a pescare, e mi ha parlato.»
Il pugno di suo padre si abbatté sul tavolo.
Il legno levigato sussultò. Le scodelle tintinnarono e l’acqua che c’era dentro si agitò in flutti, una tempesta in miniatura che parve rianimare i brandelli di pesce morto.
«Ti ho detto molte volte di stare attento.» Se avesse urlato, sarebbe stato meglio. Ma suo padre parlava in un sussurro roco, la voce contorta e annodata. «Di non avvicinarti, non parlare agli estranei. Hai già dimenticato Rosso?»
«No!» gridò Scricciolo, sentendo il dolore delle lacrime che gli uscivano dagli occhi, dietro cui ancora, sempre, vedeva Rosso: Rosso che correva con la lingua di fuori, Rosso che abbaiava, Rosso che moriva.
«Hai dimenticato che gli hanno spezzato le ossa a bastonate solo perché ti amava? Cosa pensi che farebbero a te, se potessero? Se gliene dai l’occasione?»
Scricciolo scosse il capo, piangendo in forti singhiozzi. «Fratello Vinto non è come loro…»
Il padre si mosse, le sue gambe possenti che scattavano fecero volare via la sedia, che si sfasciò sul pavimento. Quel groviglio, arti di legno spezzati, gli fece venire la nausea.
Come una montagna che franava, suo padre si inginocchiò davanti a lui perché i loro occhi fossero più o meno alla stessa altezza, e lo afferrò per le spalle. «Lo sai cosa fanno i Fratelli del Culto a quelli come te?»
Il bianco giallastro attorno agli occhi di suo padre balenava nella penombra delle candele. Scricciolo non ricordava di averlo mai visto così, forse solo una volta, quando una febbre l’aveva colpito, e lui l’aveva guardato delirare nel letto senza poterlo aiutare, a dibattersi tra le coperte come dentro una rete. I suoi occhi somigliavano a quelli che aveva avuto quella notte.
Il padre lo scrollò per cavargli una risposta inutile. «Lo sai?»
«C-ci… ci portano al…»
«All’Ossario! I Fratelli del Culto cercano gli ammorbati per portarli all’Ossario. Si mostrano gentili, parlano con parole suadenti, ma sai come si vive dentro un Ossario?» Lo scrollò di nuovo, facendogli battere i denti. «Gli ammorbati come te non vedono mai più la luce del sole. Vivono in sotterranei angusti quanto crepe nella pietra, stipati là dentro uno sull’altro, senza nessuno che li curi. Il Culto li lascia aggrovigliare e spezzare finché impazziscono dal dolore e allora rimangono lì come bestie, meno che bestie, piegati, contorti, aggrovigliati.» Le parole gli piantarono negli occhi, come chiodi, quelle immagini atroci. Scricciolo urlò, soffocato dal pianto, e si coprì le orecchie con le mani, ma era troppo tardi.
Vide le membra torte degli ammorbati fremere nelle viscere della terra. Li vide abitare fessure di pietra come ragni di ossa e carne. Vide le loro bocche slogate, spalancate, irte di denti spezzati.
«Dicono che il filo degli ammorbati sia più difficile da tagliare per le Sorelle.» Suo padre lo cullò contro il proprio petto, ma continuò a sussurrargli all’orecchio. «Perciò non possono sperare nemmeno in un rapido sollievo nella Morte. Lo capisci? Capisci perché devi essere prudente e fare come ti dico, figlio?»
Scricciolo singhiozzò, aggrappandosi alle immense spalle, sentendosi come uno che affoga, mentre il padre era una zattera di solido legno che fendeva per lui la burrasca.
«Mi dispiace tanto, padre. Ho capito, ho capito, perdonami. Ti prego, perdonami.» Parlò annegando, annegando, annegando.
Suo padre lo teneva stretto.
Due speranze contrapposte si dibattevano dentro di lui: che Fratello Vinto non tornasse più, oppure che tornasse.
Che tornasse per lui e mostrasse a suo padre la mano sinistra, la mano maledetta che il Culto aveva risanato, e lo convincesse a lasciare che anche Scricciolo venisse guarito.
Suo padre era convinto che Fratello Vinto sarebbe tornato. Diceva che il Culto non lasciava mai niente d’intentato. Chissà se era una cosa buona oppure cattiva. Se così facendo portava il Bene oppure il Male.
Il padre aveva un piano per quando fosse tornato. Non era un piano complicato.
E quando Scricciolo vide il Fratello del Culto arrivare dalle colline – come se stesse spuntando adagio dalla sabbia, uno strano fiore – non poté che sentire una vaga felicità, anche se sapeva che il piano si sarebbe svolto.
Fratello Vinto lo salutò con un gesto della mano buona e un sorriso. «Dov’è tuo padre?» gli chiese.
«A pesca» mentì Scricciolo, e la bugia gli riempì la bocca di cenere.
Fratello Vinto annuì, come se lo sapesse già, poi si schermò gli occhi dal sole – nello stesso modo della prima volta – e osservò la barchetta al largo. Era così distante, quasi difficile distinguerla; impossibile dire se dentro ci fosse davvero qualcuno oppure se in realtà fosse vuota.
Fratello Vinto posò i luminosi occhi castani su di lui. «Ho camminato a lungo» disse. «Tuo padre sarebbe d’accordo se mi offrissi dell’acqua in sua assenza? Dell’acqua dolce» precisò scherzoso, indicando il mare. «Te ne sarei molto grato.»
Scricciolo annuì, il cuore che batteva dolorosamente. Sembrava quasi troppo comodo che fosse stato proprio il Fratello a chiedergli di avvicinarsi alla casa, senza bisogno di essere persuaso.
Lo precedette verso la capanna zoppicando.
Si fermarono davanti alla porta. Scricciolo teneva il capo chino, incapace di guardare negli occhi quell’uomo a cui aveva mentito.
Suo padre aveva detto che stavolta mentire era giusto, ma lui non capiva come quella regola così importante – che gli era sembrata salda e inamovibile quanto uno scoglio nel mare – potesse valere certe volte e certe altre no.
«Ti ringrazio.» Fratello Vinto gli sfiorò la nuca con le dita di ferro, fredde ma gentili.
Scricciolo sollevò di scatto gli occhi. Soffocava. «Mio padre è in casa, scappa!» sussurrò.
Ma prima ancora che potesse finire la frase, la porta della capanna si spalancò e ne uscì la mole di suo padre, che afferrò Fratello Vinto e lo scagliò nel buio oltre la soglia come se fosse uno straccio. La sua bella veste da uccello si strappò impigliandosi in una scheggia di legno. Scricciolo si chiese se anche la gente del villaggio aveva fatto così con Rosso.
«Esci» gli urlò suo padre. «Esci!»
Ma Scricciolo non poteva muoversi.
«Aspetta, ti prego.» Fratello Vinto si aggrappava alla mano che lo teneva per il bavero. Il pugno di suo padre calò sul suo bel viso, trasformandolo. Una maschera livida e gonfia, che si spaccava sanguinando sotto i colpi delle nocche simili a pietre. «Aspetta.»
«Bastardo» sibilò il padre, stringendo le mani attorno al pallido collo sottile, come se volesse spezzarlo. «Mio figlio non andrà all’Ossario, hai capito? HAI CAPITO?»
«Ami così tanto tuo figlio…» rantolò Fratello Vinto, col sangue che gli colava dalla bocca, dal naso, dagli occhi. «Per questo cercavo qualcuno come te.»
La mano di ferro emerse dalle pieghe dell’ampia manica e si serrò attorno a quella grande e terribile del pescatore.
Suo padre si bloccò.
«Anch’io…» sussurrò il Fratello, «anch’io ero come lui. Ma il Culto mi ha guarito. Non sono mai… mai finito nell’Ossario.»
Suo padre lo lasciò andare di colpo, come se si fosse ustionato, e la nuca di Fratello Vinto batté con forza contro il legno del pavimento, mentre il giovane crollava a terra.
Quel suono parve liberare Scricciolo, che si riscosse e gli corse accanto, prendendogli la testa in grembo, scostandogli i capelli imbrattati di sangue dal volto maciullato.
«Ti prego» sussurrò Fratello Vinto, tendendo la mano di ferro verso il padre, le dita affusolate scintillanti nella luce che filtrava dal mare. «Ti prego, salva tuo figlio.»
Il padre tornò gentile.
Sembrava che non fosse accaduto nulla, eppure Scricciolo sapeva che qualcosa era cambiato.
Qualcosa di invisibile si tendeva intorno a loro, circondandoli – come le nasse che costruiva suo padre, per catturare i gamberi nell’acqua bassa. Poteva fingere che non fosse così, ma quella notte, dopo avergli medicato il piede, il padre gli raccontò una storia.
«C’era una volta un umile pescatore, che visse mille e mille anni fa, all’epoca in cui il mare non era ancora salato, e gli uomini non Vagavano nella Morte.
«Il pescatore abitava in una capanna in riva al mare, che aveva costruito con le sue mani per lui e per sua moglie, usando il legno portato dalla marea e le pietre che emergevano dalla sabbia, e conchiglie e ossi di seppia per abbellirla.
«Di giorno, il pescatore andava per mare, di notte si ritirava sfinito alla luce della lanterna, seguendo il sentiero d’argento che la luna tracciava per lui sulle acque nere. La stanchezza del suo corpo era grande, ma la felicità di trovare l’amata ad attenderlo e di poter provvedere a lei e al loro bambino, che lei portava in grembo, lo era ancora di più.
«Un brutto giorno, la moglie si ammalò. Allora il pescatore strinse un patto con il mare: gli avrebbe affidato sua moglie e il figlio mai nato, separandosi per sempre da loro, purché vivessero in salute sul fondo del mare.
«Il mare accettò.
«Mentre adagiava la moglie incinta sulla barchetta che l’avrebbe condotta al largo, il pescatore pianse.
«Si dissero addio salutandosi con la mano e lui pianse ancora.
«Il pescatore continuò a piangere finché le sue lacrime non caddero tutte dentro il mare e il mare non diventò salato.»
In seguito Scricciolo non seppe mai che cosa si fossero detti i due uomini di preciso.
In che modo Fratello Vinto avesse persuaso suo padre.
Se ne stavano sul bordo della spiaggia, laddove il ritmo perpetuo della risacca sfiorava la sabbia, la capanna, tutto il mondo che lui aveva conosciuto.
Le ferite sul volto del Fratello andavano rimarginandosi. Era ancora gonfio e tumefatto, ma i suoi lineamenti delicati stavano cominciando a tornare.
«Saluta tuo padre, adesso» gli disse con un sorriso, gli occhi pieni di gentilezza, e si allontanò un poco per lasciarli soli.
«Padre, tu non vieni?» chiese Scricciolo.
Lui scosse il capo.
Gli teneva le mani sulle spalle, come se volesse tenerlo piantato nella sabbia, ma le sue mani tremavano.
Com’era possibile che le mani di suo padre tremassero?
«Il Culto ha bisogno di me in un altro modo.»
«In che modo?»
«Il Culto ha bisogno di persone come me.»
«Pescatori?»
Il padre emise una debole risata, scompigliandogli i capelli con la mano pesante. «No, figlio mio.»
«Non capisco…»
«Certe cose non è dato che le comprendiamo.» Il padre parve deglutire a fatica. «Il Culto può istruirti, farti vedere il mondo. Curarti, come ha fatto con Fratello Vinto. In cambio, chiede solo che tu diventi novizio, così un giorno potrai essere Fratello, e che io serva come posso.»
Scricciolo scosse il capo. «Ma…»
«Niente ma. Dobbiamo affidarci al Culto, perché…» La sua voce vacillò. «Perché sa cosa è meglio per noi.»
«Ma tu avevi detto…» Scricciolo sentiva le lacrime pungergli gli occhi. «Tu avevi detto che nessuno sa tutto. Che potevano dire il contrario, ma non era vero: lo facevano per paura o per tornaconto. Questo mi hai detto.»
«Lo so. Te lo ricorderai?»
Scricciolo non capiva, ma annuì. «Me lo ricorderò, padre.»
«Vivrai una lunga e bella vita.» Suo padre gli accarezzò i capelli, il viso, le braccia, come se con le dita volesse imparare a memoria la forma e la consistenza del figlio. «Vedrai tante cose che restando qui non avresti nemmeno immaginato . Imparerai a leggere e a scrivere e diventerai un dotto. Ma non ti dimenticherai mai di tuo padre, di quello che ti ho detto.»
«No, no, no.»
Il padre crollò in ginocchio nella sabbia, stringendolo forte a sé. «Non dimenticarlo mai» sussurrò, la voce che muoveva l’aria nel suo orecchio. Poi lo spinse via, voltandogli le spalle.
«Padre…»
Ma Fratello Vinto era tornato. La mano di ferro scivolò nella sua e la strinse delicatamente.
«È ora.»
Non avrebbe dimenticato suo padre. Non avrebbe dimenticato Rosso. Non avrebbe dimenticato.
Mentre veniva portato via, Scricciolo si guardò indietro e lo vide di spalle, in riva al mare.
«Padre!» lo chiamò, lo chiamò e lo chiamò, ma lui non si voltò mai.
Nemmeno nei suoi sogni si voltava.
Quel dolore era peggio del morbo. Il morbo torto poteva essere amputato e sostituito con ferro scintillante. La zoppia poteva essere corretta, per qualche ora persino dimenticata, persa tra le pagine di un grande tomo da studiare.
Ma l’ombra di suo padre in riva al mare era così terribile che non riusciva a sanarla nemmeno nella sua immaginazione, tra le pieghe del sonno.
Solo in seguito l’avrebbe capito.
Suo padre era il pescatore che aveva salato il mare.
Francesca Della Bona