Nyame si separa da Asase Yaa e Anansi costruisce una torre – racconto di Oscar Palessa

Nyame si separa da Asase Yaa e Anansi costruisce una torre – racconto di Oscar Palessa

Un giorno Nyame, che era il Cielo, si separò da Asase Yaa, la Terra.
La storia che lo racconta si dilunga fin da subito nell’elenco dei molti nomi di Nyame: Abommubuwafre, colui che consola; Bore Bore, il creatore; Amowia, colui che porta la luce; e il più importante di tutti, Amosu, colui che porta la pioggia. Questo è normale poiché la storia è molto vecchia, e al tempo in cui gli Ashanti la raccontavano Anansi, il Ragno, non aveva ancora rubato a Nyame tutte le sue storie e dunque ognuna di esse cominciava con il nome di Dio. Ma sarebbe venuto il giorno in cui Anansi gliele avrebbe sottratte, e ne avrebbe fatto dono all’umanità, ed esse sarebbero diventate le storie di Anansi che cominciano con il nome del Ragno. Ma si tratta di un altro giorno, ed è narrato in un’altra storia.
Sopra la Terra e al cospetto del Cielo vivevano in quel tempo gli Uomini. Costoro camminavano sul corpo fertile di Asase Yaa e si abbandonavano al respiro di Nyame e la loro vita era come una sottile ragnatela su cui camminavano i pensieri invisibili delle due divinità. Gli Uomini riempivano lo spazio con le forme dei propri corpi e attraverso di essi Asase Yaa e Nyame celebravano un’eterna comunione.
Ogni giorno però i pensieri di Nyame, che gli Ashanti chiamano anche Otomankoma, l’Eterno, si facevano un po’ più distanti dalla Terra e da chi vi camminava sopra. Questo è comprensibile poiché, mentre i piedi degli Uomini toccavano ogni giorno il seno di Asase Yaa, le loro teste volavano assai raramente fino a Nyame: più loro dimenticavano lui, più lui si dimenticava di loro. Giunse così il giorno in cui i pensieri di Nyame furono troppo lontani, ed egli finì per separarsi da Asase Yaa. Quel giorno coincise con la rovina degli Uomini.
Lì dove prima c’erano alberi in fiore e fiumi impetuosi e ruscelli placidi, di colpo non vi fu più altro che roccia e sabbia. Lo spazio tra Cielo e Terra, dove un tempo imperversava il creato, divenne la dimora delle cose che non sono. La vita in superficie divenne impossibile: molti Uomini morirono, e quelli ancora vivi scapparono al di sotto della pelle dura di Asase Yaa, in cunicoli e misere grotte. Fuori, e sopra le loro teste, imperversava il dominio del niente.
Con gli uomini sopravvissero le bestie malevole e quelle striscianti, insetti brulicanti sulla pancia di Asase Yaa avvezzi a infilarcisi dentro per trovare conforto, e Anansi, il Ragno, che pur non sapendo strisciare sapeva perfettamente come scavare, e che comunque non era né Uomo, né Bestia, né Dio, e dunque per sopravvivere non aveva bisogno d’altro che di sé stesso. Secondo la storia, andò a vivere sottoterra solo perché non disdegnava la compagnia.
“Oh Anansi”, disse un giorno un Uomo, “la vita dentro la pancia secca di Asase Yaa è ardua e infelice. Tu che non sei né Uomo, né Bestia, né Dio, intercedi per noi presso la Regina e fai in modo che si ricongiunga a Nyame”.
Poiché Asase Yaa non era una creazione di Nyame, bensì la sua consorte, ne condivideva in tutto e per tutto il potere e avrebbe potuto ricongiungersi a lui in qualunque momento. Anansi si era affezionato agli Uomini abbastanza da volerli aiutare, ma sapeva che non sarebbe stato facile. L’abbandono di Nyame aveva cambiato Asase Yaa, e per il peggio. In ogni caso accettò, confidando nella bontà della propria inesauribile astuzia.
Dopo aver vagato per vasti e intricati cunicoli sotterranei, trovò la Dea al centro di una pozza di catrame ribollente. “Ricongiungermi a Nyame?” disse quella “Mai. Non m’importa più di lui, che tanto facilmente mi ha dimenticata. Non m’importa nemmeno degli Uomini: che muoiano nelle loro tane, che la sabbia riempia le loro gole e che nulla più si muova sotto e sopra di me. Non desidero alcun ricongiungimento, alcun soffio di vita, alcun cambiamento. Il mio regno è ora quello immobile di un deserto senza vento, e in esso tutto dovrà restare per sempre com’è”.
Anansi ascoltò quella risposta e chinò rispettosamente la testa. “Hai ragione, o Dea. Ho sentito nel tuono la voce di Nyame e il tuo nome non era più nei suoi discorsi. Gli Uomini potranno desiderare altrimenti, ma tu conosci la verità: non vi è più alcuna unione possibile tra voi. Le cascate non torneranno a scrosciare, gli alberi non cresceranno né produrranno chiome destinate a mostrare i colori del tempo che scorre. Il canto degli usignoli non riempirà il silenzio. Il nulla cresce informe fra te e il tuo consorte, e ogni cosa è persa”.
A sentire quelle parole, Asase Yaa scoppiò in un pianto disperato, poiché più dell’orgoglio erano forti la sua disperazione e il suo dolore. E Anansi, il Ragno, le cui parole non erano mai spese a vuoto, raccolse quelle lacrime in una giara di vetro e con quella giara si incamminò verso la superficie.
Sulla strada incappò in Adze, la Strega-Vampiro che infesta le notti in forma di lucciola. Provò a ignorarla ma fu inutile: quella gli si parò davanti e rise sguaiatamente.
“Ho udito la tua conversazione con Asase Yaa dai meandri della mia tana. Nemmeno il Ragno può nulla contro le forze che ci governano: arrenditi allora, striscia in un angolo e muori. Io non lascerò che il tuo sangue vada sprecato, perché il mio nome è Adze e la mia fame è grande”.
Anansi chinò rispettosamente la testa di fronte alla Strega: “La tua fame è nota tanto quanto il tuo nome, Adze. Ma dimmi, non è forse vero che la tua leccornia preferita è il sangue degli innocenti? In questo caso il sottoscritto sarebbe un pasto ben misero”. Adze guardò Anansi con sospetto. “Dici bene, Ragno. Ma qui sotto le notti sono lunghe, e la mia fame perenne insoddisfatta”. Sorridendo a sé stesso, il Ragno tese la sua trappola. “Conosco un luogo dove ogni notte i figli degli Uomini vanno a giocare. Poiché nulla è più innocente di un bambino, sono certo che lì potresti saziarti. Se te lo mostro, prometti di lasciarmi in pace?”. La strega acconsentì, e Anansi la guidò fino a un muro altissimo con un buco piccolissimo scavato dentro. “Oltre questo muro si trovano le tue prede. Ma ahimè, solo gli Uomini conoscono la parola magica per trasformare il buco in una porta. E questo muro è spesso molti metri e impossibile da abbattere. Temo che sarà un brutto affare per entrambi”. Adze scoppiò a ridere. “Sbagli, Ragno. Non sai che io sono Adze, la lucciola-Vampiro?” e così dicendo si trasformò in una lucciola, volando verso il microscopico passaggio. Anansi zampettò rapido oltre il muro, per una di quelle crepe e scorciatoie segrete che conoscono solo i ragni, e attese con una giara di vetro davanti al buco. Quando Adze emerse dal muro, si scoprì ingannata e prigioniera. “Ora verrai con me” disse Anansi ridendo. “Volente o nolente, sarai la mia luce”. Con le lacrime di Asase Yaa in una giara, e Adze nell’altra, il Ragno giunse così finalmente in superficie.
Lo spazio tra Cielo e Terra era diventato molto buio. Era un’oscurità definita dall’assenza, come tutte, eppure di qualità ben diversa dalle altre: non era, infatti, solo la luce a mancare. Il mondo si era svuotato di molte cose, e quel che Anansi chiamava con disinvoltura buio era in realtà gravido di tutto quel che non c’era, e anche di alcune altre cose. Aveva il colore del tempo che non scorre, uno spazio inesistente e senza confini insieme. Indifferente al proprio stesso paradosso, ospitava un’assenza di forme e significati così profonda che lo zampettio di un Ragno la disturbò a malapena. Il che, per Anansi, fu una bella fortuna.
La luce di Adze guidò il Ragno fino a una spianata. Lì Anansi si fermò, e iniziò a tessere la propria tela. “Osserva, Adze: con queste zampe darò forma a una ragnatela che si erga fino al Cielo”.
La tela di un ragno è qualcosa di veramente meraviglioso: per quanti sforzi si possano fare, non si riuscirà mai a riprodurne due uguali. I lavori di Anansi poi erano i più meravigliosi di tutti. Ciò nonostante una ragnatela è pensata per catturare più che per sorreggere, la seta di cui si compone è assai fragile e quella di Anansi non faceva eccezione. Per questo Adze volò con eccitata derisione dentro la propria giara. “Sei proprio un illuso, Anansi: a cosa mai attaccherai la tua tela? Come potrai farla arrivare fino a Nyame? Cadrà su sé stessa, flaccida come la tua volontà”.
Invece che rispondere, Anansi si limitò ad aprire la giara contenente le lacrime di Asase Yaa. Mentre con due zampe filava il primo strato della ragnatela, con altre due immergeva la seta nell’acqua salata della Dea. Bagnata in quel liquido miracoloso, diventava forte e dura come acciaio non appena Anansi la posava. In un paziente lavorio il Ragno intessé e bagnò fino a che la sua ragnatela non assunse forme tridimensionali: curiose, a tratti asimmetriche, ma abbastanza solide da ergersi nel buio. Strato su strato, la torre iniziò a crescere sotto le zampe di Anansi.
La sfida che il Ragno gettò all’oscurità non fu da poco. Il suo precedente zampettio non aveva riscosso troppa attenzione, ma quel che stava costruendo era un’intrusione assai vistosa. Rischiò di attrarre su Anansi cose che non dovrebbero essere nominate, poiché non sono, e che esistono a garanzia di ciò che non è.
Fortunatamente Anansi aveva con sé Adze e la sua luce agitata. Stretta fra le due zampe del Ragno, la giara luminosa fendeva il buio quel tanto che bastava da capire quali direzioni fossero sconsigliabili e quali, invece, sicure: sulla base di quelle indicazioni Anansi costruì la propria torre, secondo un percorso storto e sgraziato ma sempre al sicuro da incontri sgradevoli. Guidato dalla riottosa Adze, attraversò così il nulla nella beata ignoranza di ciò che lo abitava, e superati gli spazi dove un tempo erano le nuvole giunse finalmente al cospetto di Nyame.
La voce del Dio del Cielo era roboante e allegra. “Piccolo Anansi, cosa ci fai qui?”. Anansi chinò la testa, stavolta sinceramente, e iniziò a raccontare a Nyame ciò che egli avrebbe già dovuto sapere ma che – purtroppo – era troppo distratto per ricordare.
Con le sue parole dipinse l’immagine degli Uomini e del ponte che i loro corpi un tempo tracciavano fra Cielo e Terra; ricordò a Nyame della propria sposa, abbandonata alla propria stessa disperazione. E infine raccontò di come lui, Anansi il Ragno, avesse costruito una torre che riempisse almeno in parte gli spazi infiniti fra Asase Yaa e Nyame, un nuovo ponte fra le Divinità che potesse ricongiungerli.
Nyame era un Dio lontano ma non certo crudele. Non appena il ricordo di Asase Yaa tornò in lui, si adoperò per risolvere le cose, e già al suo primo pensiero la vita riprese a scorrere in quello spazio tra Cielo e Terra dove gli Uomini erano destinati a vivere. Il sole si riaccese nel cielo limpido, sopra le chiome di nuovi alberi in fiore, e l’acqua dei fiumi riprese a bagnare il ventre della terra. Nel tempo di un battito di ciglia, ogni cosa tornò a essere com’era.
Quando Anansi fece per congedarsi, però, Nyame lo fermò. Era un Dio lontano, distratto, non certo crudele ma purtroppo nemmeno troppo indulgente.
“Un momento, piccolo Ragno. Per quanto ti possa essere grato, c’è ancora qualcosa di cui dobbiamo discutere: le lacrime che hai fatto versare alla mia consorte”.
Anansi deglutì, nel modo in cui deglutiscono i ragni quando hanno paura.
“In altre circostanze ti avrei consegnato alla morte. Ma non sono un Dio crudele e comprendo la situazione in cui ti sei ritrovato, perciò eccoti una blanda punizione: resterai qui, sopra le nuvole, fino a che non avrai pianto tante lacrime quante ne hai fatte piangere ad Asase Yaa. Ma ricorda che poiché non sei né Uomo, né Bestia, né Dio, diecimila delle tue lacrime ne valgono una delle sue”.
E poiché quella era la parola di Nyame, che gli Ashanti chiamano anche Nyankopon, il Supremo, Anansi non poté fare altro che piegare la testa e arrendersi al futuro che lo attendeva. Ecco perché, da allora, la pioggia cade su Asase Yaa: sono le lacrime di Anansi, spremute a fatica nel corso dei secoli. Molte ne ha piante, e molte altre dovrà piangerne ancora.
Questa è la mia storia. Spiega il perché della pioggia, e la ragione per la quale Nyame è talvolta chiamato Amosu, colui che porta i temporali. Non spiega che fine abbia fatto la torre di Anansi, né parla di molte altre cose che potrebbero essere dette: poiché se è vero che con la sua costruzione Anansi ha sfidato il Vuoto, è anche vero che gli ha dato una forma. Così, restano misteriose non solo la sorte della sgraziata torre di Anansi, edificata nei pieni, ma anche il destino della non-torre che la permea e circonda, costruita involontariamente negli spazi vuoti e il cui nome impronunciabile è Daath. Ma si tratta di un’altra torre, ed è narrata in un’altra storia.

Oscar Palessa

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