Kirisuto no haka, o del mito della crocifissione di Isukiri e di Gesù in Giappone

Kirisuto no haka, o del mito della crocifissione di Isukiri e di Gesù in Giappone

Di racconti bizzarri e resoconti assurdi n’è piena la storia. Ogni tradizione religiosa, ogni credenza, ogni avvenimento importante ha portato con sé, nel corso del tempo, tentativi di appropriazione o di rivendicazione di un ruolo all’interno di un contesto narrativo teologico o socio-culturale. Con il prefigurarsi della globalizzazione – ci riferiamo al primo periodo moderno, ossia a quella che informalmente viene definita l’età delle scoperte (dal XV al XVIII secolo) – e l’emersione dei contatti tra popolazioni e culture, s’ebbe un proliferare di culti sincretici: basti pensare al legame considerato da alcuni studiosi tra Nostra Signora di Guadalupe e la dea azteca Tonantzin nel contesto delle analisi sulla tilma acheropita oggi custodita a Città del Messico, o ancora all’orientamento verso est e alle modalità d’inumazione di certi siti funerari in Scandinavia che suggeriscono una mescolanza tra la tradizione pagana e il cristianesimo.
In questo coacervo di storie ce n’è una particolarmente interessante che ha attirato, sin dalla sua nascita, l’attenzione non solo degli studiosi ma tuttalpiù di curiosi e orientalisti. Si tratta di una storia che identificherebbe, nientepopodimeno che, la tomba di Gesù Cristo in un remoto villaggio giapponese: Shingō. Ci sarebbe molto da dire riguardo il cristianesimo nel paese del Sol Levante (dalle persecuzioni dei credenti da parte dello shogunato sino alle note biografiche dei cristiani nascosti durante, appunto, il periodo Edo) ma l’intento di questa breve trattazione resta quello di riassumere la curiosa storia succitata, con l’intento di rappresentare tuttalpiù uno spunto per il lettore interessato ad approfondire queste stuzzicanti, e poco conosciute, pagine storiche.
Shingō è un villaggio situato nella prefettura di Aomori, nel nord dell’isola di Honshū. Durante il periodo Edo, la zona era controllata dal clan Nanbu e diversi resoconti fanno risalire al XVI secolo i primi contatti intercorsi tra esploratori olandesi e membri del clan. Ad ogni modo nei dintorni nel villaggio, in una zona rurale fortemente orientata all’agricoltura e all’allevamento, sorgerebbe la tomba di Gesù di Nazareth. Stando al mito, Gesù non sarebbe stato crocifisso sul Calvario ma avrebbe viaggiato a lungo in oriente – in concordanza con quanto riferiscono alcune fonti indiane – e in Siberia e sarebbe arrivato nei pressi dell’attuale Aomori. Lì si sarebbe stanziato, si sarebbe dedicato alla coltivazione e avrebbe avuto tre figlie. Ritornando al tema della crocifissione, secondo i sostenitori della tesi della tomba in Giappone, a subire il martirio sarebbe stato Isukiri, fratello di Gesù, le cui spoglie in ogni caso sarebbero giunte – attraverso modalità non precisate – in Giappone e sarebbero oggi custodite accanto alla tomba dello stesso Cristo.
Il tumulo, caratterizzato da due semplici croci, custodirebbe quindi le ossa del profeta, un orecchio di suo fratello e – stando ad alcune versioni – anche certe reliquie appartenenti alla Vergine Maria.
I resoconti odierni fanno risalire l’origine di questa (almeno apparentemente) assurda narrazione a una fonte degli anni ’30 che parla di un documento ebraico riguardo la vita e la morte di Gesù in estremo oriente nonché alla scomparsa dello stesso documento poco prima della seconda guerra mondiale a seguito di un sequestro da parte delle autorità giapponesi. Tale documento, dicono alcuni, sarebbe oggi nascosto da qualche parte a Tokyo. Secondo lo scritto, Gesù avrebbe viaggiato per la nazione e si sarebbe profondamente interessato allo scintoismo – in effetti sussistono moltissimi punti di congiunzione tra cristianesimo e scintoismo, ma questa è un’altra storia – per poi morire alla veneranda età di 106 anni.
Quella del Gesù giapponese tra l’altro, come ogni storia che si rispetti, viene declinata in diverse versioni che, seppur mantenendo la stessa trama di base, differiscono nei dettagli: alcuni affermano infatti che Gesù sarebbe arrivato in Giappone a 21 anni e che per dodici anni – quindi sino ai famosi 33 anni – si sarebbe dedicato allo studio e avrebbe sposato una certa Miyuko dalla quale, appunto, avrebbe avuto tre figlie. La maggiore avrebbe sposato un membro della famiglia Sawaguchi e avrebbe dato vita a una lunga discendenza.
A prescindere dalla veridicità o meno della storia e dall’attendibilità di quanto riportato nel manoscritto scomparso a Tokyo negli anni ’30, è interessante constatare come il mito abbia influenzato la cultura locale e la zona sia tutt’oggi meta di peregrinaggi da parte di curiosi – d’altronde cos’è il folklore se non questo.
Dall’estate del 1935, quando stando alle fonti Takeuchi avrebbe individuato il sito della sepoltura, sino agli anni ’60 il luogo destò poco interesse. Dal 1964, però, ogni anno si tiene un matsuri – una festa tradizionale – che dedica canti, musiche e danze al mito e che attira non pochi visitatori e pellegrini. Nei pressi dell’area, tra le altre cose, sorge il Museo della Tradizione del villaggio di Cristo che preserva la memoria e lo studio della leggenda anche collegando certe perdute tradizioni della zona – ad esempio quella di pitturare una croce in fronte agli studenti, o ancora certe peculiarità fisiche non-orientali dei membri della famiglia Sawaguchi – agli insegnamenti e all’eredità di Gesù.
Ci sembra doveroso quindi riflettere sull’importanza che, – lo ribadiamo – a prescindere dalla veridicità dei resoconti, certe tradizioni assumono nel contesto culturale nel quale sorgono e osservare come il mito della crocifissione di Isukiri e della tomba di Gesù in Giappone sia un caso studio singolare e interessante riguardo il modus in cui certi racconti, per quanto improbabili, riescano a penetrare nel tessuto culturale di un territorio sino a diventarne parte integrante e a caratterizzarne il folklore. Sino a diventare, quindi, parte della Storia stessa e, in quanto parte di essa, in un certo senso ad essere considerati – attraverso una lente antropologica – veri.

a cura di Marco Marra

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