Il racconto del Diluvio di Utanapishtim
Redazione2024-07-22T23:17:04+02:00Il brano qui proposto è tratto dall’Epopea di Gilgamesh. L’Epopea è tra i più antichi testi della nostra storia. Gilgamesh, quinto re di Uruk, il saggio, colui che vide i misteri e le cose segrete e i giorni prima del Diluvio, rappresenta il primo eroe, la prima voce che ci racconta una storia. L’Epopea è stata redatta originariamente in accadico e in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla nella Babilonia del diciannovesimo secolo avanti Cristo. L’Epopea narra del viaggio di re Gilgamesh alla ricerca dell’immortalità, viaggio che lo condurrà ai confini del mondo conosciuto, nella dimora del solitario e immortale Utanapishtim. Utanapishtim racconterà a Gilgamesh la storia del Diluvio. Il brano si rifà alla versione caldea del Diluvio e alla riscrittura del mito da parte dello scriba Sin-lequi-unninni.
IL RACCONTO DEL DILUVIO DI UTANAPISHTIM
Tavola X (166-199) – La traversata nelle acque dei morti.
Gilgamesh e Urshanabi si imbarcarono sulla nave e si misero in viaggio. In soli tre giorni compirono il percorso di un mese e quindici giorni. Così Urshanabi giunse alle acque della morte, e parlò a Gilgamesh: Fa attenzione Gilgamesh, le acque della morte non devono sfiorare la tua mano. […] Gilgamesh si spogliò delle sue vesti, e le arrotolò all’albero della nave.
Utanapishtim osservò la scena da lontano, e parlando a sé stesso pronunciò le parole: Perché sono state asportate le stele di pietra dell’imbarcazione senza le quali non è possibile attraversare il mare? Colui che si avvicina non è dei miei, […] lo guardo ma non lo riconosco, lo guardo ma non lo riconosco, lo guardo ma non lo riconosco, chi è che si avvicina?
Tavola X (303-316) – La verità di Utanapishtim.
L’umanità è recisa come canne in un canneto. Sia il giovane nobile, come la giovane nobile, preda della morte. Eppure nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte, nessuno sente la voce della morte. La morte malefica distrugge l’umanità. Noi possiamo costruire una casa, possiamo costruire un rifugio, i fratelli possono dividersi l’eredità, vi può essere guerra nel paese, possono i fiumi ingrossarsi e portare Diluvio: ogni cosa assomiglia alle libellule che sorvolano il fiume, e quando lo sguardo si rivolge al sole, subito non c’è più nulla. Quanto si assomigliano il prigioniero e il morto. Nessuno può disegnare la sagoma della morte. L’uomo primordiale è un uomo prigioniero.
Tavola XI (1-162) – Il racconto del Diluvio.
Gilgamesh parlò a Utanapishtim: Io guardo a te, Utanapishtim, le tue fattezze non sono diverse, tu sei uguale a me, sì, tu non sei diverso. Il mio animo è tutto proteso a misurarsi con te, (ciononostante) il mio braccio contro di te è inerme. (Per questo dimmi): come sei entrato nella schiera degli dèi, ottenendo la vita?
Utanapishtim parlò a Gilgamesh: Ti voglio rivelare una cosa nascosta, Gilgamesh, e renderti noto il segreto degli dèi. Shuruppak – una città che tu conosci, (che sorge sulle rive) dell’Eufrate – questa città era già antica quando era popolata dagli dèi. Fu volere dei grandi dèi mandare il Diluvio. Prestarono giuramento a An, il loro padre, Enlil, l’eroe, Ninurta, il guerrafondaio, Ennugi, il signore dei canali. Anche Ninshiku-Ea aveva giurato con loro.
Le loro intenzioni (quest’ultimo) però le rivelò a una capanna: Capanna, capanna! Parete, parete! Capanna, ascolta; parete, comprendi! Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu, distruggi la tua casa e costruisci una nave, abbandona la ricchezza, cerca la vita. Lascia i possedimenti, salva la vita. Fai salire sulla nave tutte le specie viventi. La nave che devi costruire – bada alle sue misure, sii attento, dovrà essere uguale in larghezza e lunghezza – deve essere ricoperta come l’Apzu. […]
Venne il tempo: al mattino scesero pani, la sera una pioggia di grano. Io osservai le fattezze del giorno: al guardarlo, incuteva timore. Entrai nella nave e serrai la porta. Al marinaio Puzuramurri, il costruttore della nave, regalai il palazzo con tutti i suoi averi. Appena spuntò l’alba, una nuvola nera salì dall’orizzonte. Adad all’interno della nuvola tuonava senza interruzione, davanti ad essa andavano Shullat e Canish; i ministri percorrevano monti e pianure. […]. Ninurta dischiuse le acque. Gli Anunnaki sollevarono fiaccole, bruciando il Paese con la loro terribile luce. Il silenzio mortale di Adad avanzò nel cielo, in tenebra tramutando ogni cosa splendente. […] […] Per un giorno intero la tempesta (infuriò), il vento del sud si affrettò per (sommergere) le montagne (nell’acqua): come (un’arma di) battaglia la distruzione si abbatté (sugli uomini). (A causa del buio) il fratello non vide più suo fratello, dal cielo gli uomini non erano più visibili. Gli dèi ebbero paura del Diluvio, indietreggiando, si rifugiarono nel cielo di An. […] Il vento soffiò sei giorni e sette notti, (infuriò) il Diluvio, l’uragano deturpò il Paese. Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, l’incedere del Diluvio cessò, dopo aver lottato come una donna in doglie. Si calmò il mare, il vento cattivo cessò e il Diluvio si fermò. Io osservavo il giorno. Regnava il silenzio. Ma l’intera umanità era ridiventata argilla. […]
Aprii allora il portello e la luce mi baciò il viso. Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi. Sulle mie guance scorrevano fiumi di lacrime. Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva: finché non scorsi un’isola, ad una distanza di dodici leghe. La nave si incagliò sul monte Nisir. Il monte Nisir afferrò la nave e non la fece più muovere. Un giorno, due giorni, il monte Nisir non lasciava più muovere la nave; tre giorni, quattro giorni, il monte Nisir non faceva più muovere la nave; cinque giorni, sei giorni, il monte Nisir non faceva più muovere la nave. Quando giunse il settimo giorno, liberai una colomba. La colomba andò e ritornò, non riuscì a raggiungere alcun luogo e tornò indietro. Liberai una rondine. La rondine andò e ritornò, non riuscì a raggiungere alcun luogo e tornò indietro. Liberai un corvo. Il corvo andò, e vide che l’acqua defluiva, e mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò più.
Feci allora uscire gli occupanti della nave e offrii un sacrificio. Depositai l’offerta sulla cima di un monte. Vi collocai sette vasi, e in essi versai canna, cedro e mirto. Gli dèi odorarono il profumo. Gli dèi odorarono il buon profumo. Gli dèi si raccolsero come mosche attorno all’offerente.
Adad: divinità sumera della pioggia e del vento, e figlio del dio Enlil.
An: è la suprema divinità uranica del pantheon sumero.
Anunnaki: termine sumero che si traduce in “Principi della terra” e indica un gruppo di dèi del pantheon sumero, babilonese e assiro.
Apzu: è la rappresentazione di tutte le acque dolci e sotterranee contenute nell’Abisso: fiumi, laghi, sorgenti. È ritenuto progenitore di tutti gli dèi.
Enlil: è la principale divinità della città sumera di Nippur. Considerato dio della tempesta e re della terra.
Ennugi: divinità mesopotamica associata all’irrigazione e alle acque sotterranee.
Ninshiku-Ea: dio sumero della saggezza e dell’acque. Conosciuto anche con il nome di Enki.
Ninurta: dio mesopotamico della guerra e dell’agricoltura, e figlio del dio Enlil.
Nisir: montagna dove si incagliò l’arca al termine del Diluvio.
Puzuramurri: è il nome del carpentiere che costruì l’arca descritta nell’Epopea.
Shullat e Canish: divinità atmosferiche e ministri di Adad.
Shuruppak: antica città sumera e antidiluviana che sorgeva nei pressi del fiume Eufrate. Nel mito è considerata come il luogo del Diluvio.
Urshanabi: il traghettatore sumero delle acque dei morti.
a cura di Gerardo Spirito