Tutte le piante si tingono le vene di bianco – racconto di Hélène Carlotta Lupatini
Redazione2025-04-28T19:21:27+02:00Si può scappare da molte cose, dalla terra che trema, dai fiumi in piena, dai mostri, da ciò che scoppia, dalle tragedie, dai tiranni, dai cani, dagli incisivi.
Lei scappava da una notte buia, dai rumori forti, dal temporale.
Dal tempo che schiaccia le membra al suolo. Da un soffitto troppo basso, che si abbassa e si squassa. Da un cielo che pesa e non ce la fa più. E crolla.
Chiudi la bocca, chiudila bambino, che entrano i detriti di questo cielo distrutto.
Ma lui deve urlare. Vuole urlare il suo dolore con forza e con foga e rompere lui quel soffitto infernale.
Dove si scappa allora, dove non c’è il cielo? È difficile saperlo se è la prima volta che te lo chiedi. Dove non c’è il cielo?
In una scatola chiusa, sotto terra, sotto al mare, in fondo all’acqua quando sei a testa in giù; nel tempio di chi non crede, sotto alle nuvole.
Lei corre verso il mare e il mare contiene sempre salvezza per chi sa annegare. Corre verso il mare. Raccoglie la polvere di ciò che rimane, di chi si è arreso e tappa la bocca a chi sa soltanto urlare. Il suo bambino sa soltanto urlare. Non piange, urla. E lei gli tappa la bocca con la mano.
Il suo bambino le è in braccio avvolto in veli bianchi di polvere e pesanti di sangue che si alzano solo perché lei corre più forte del peso. Non ha nessun bene con sé. È certa non ne sia più rimasto al mondo. Ha dovuto lasciare tutto per poter partire in fretta ed è rimasto solo il male.
I bambini non possono morire, lei pensa. La vita che hanno davanti li riempie, li attende, li tiene immortali.
Lei allora deve correre là dove non c’è il cielo e arrivare al mare.
Una corsa tra massi e strade, campi e spighe, spine, senza quasi mai respirare.
Il bambino urla e il cielo si sente minacciato, sente urla fitte e affilate.
Si trovano poi davanti al mare. Veli in piedi, nessun vento li muove e il mare non li accoglie. Continua a buttargli contro le onde. Non si ritira per aprirgli uno spazio. Non vuole che lei e il bambino entrino, non ha una casa per loro, ce l’ha solo per chi non ha da respirare. Gli rigurgita nella notte il suo risentimento. Le brucia i piedi con le onde per farla arretrare. I solchi delle spine bruciano con il mare. E lei indietreggia, indietreggia.
Non potrà affogare.
Non ha più una via, non la sa pensare. Vorrebbe lasciarsi cadere e sottrarre quel che ha da venire. Ma l’immortalità la preme, le preme il viso. Il bimbo la stringe con le gambe. E lei come un cavallo riparte. Corre, incespica, inciampa, ma non cade. Corre, incespica, inciampa, ma non cade. Il bambino la tira per i capelli e lei riparte. L’immortalità vuole le sue gambe. La vita pagherà il suo pegno dopo.
La corsa è lunga ché non ha dove andare. E nessun luogo è meta e ogni luogo è meta se non si ha dove arrivare.
Maria vede un cespuglio immenso, dritto e di tanti rami. È come una parte di terra sollevata su cui il sangue scivola ma non si ferma. Le foglie restituiscono agli abissi il suo rifiuto.
Maria si domanda se lì dentro, se là sotto non ci sia il cielo.
È l’ultima speranza. La attraversa, ci entra, la percorre. Le spine la graffiano, le tirano i veli, strappano quei panni di sangue. Quando Maria e il bambino sono al centro, sono nudi.
Ma così il cielo è ancora sopra di lei. Allora basta, nessuna immortalità la tiene più in piedi e lascia. Crolla. Nessuno è più verticale. Lassotto, in quel buio bucato, in quel corpo striato, lei respira. Il bambino respira. Nessuno più urla lassotto.
E ora sotto al cielo bucato, il bambino che può aprire la bocca per prima cosa le cerca il seno. Maria è distesa, Maria è nuda e lui le cerca il corpo. Sa dove trovarlo, sa come afferrarlo. È giunto al mondo con una sola sapienza, cercare il seno e nutrirsi.
Prende il seno e inizia a succhiare. In una madre che non ha più forze c’è ancora latte per l’immortale. E il bambino succhia. Quella sostanza che è liquida e consistente insieme, quella sostanza che ha tutto. Tutto per il bimbo e nulla per la madre.
E il bambino è avido e tanta è l’abbondanza che anche quando lui è sazio il latte continua a scorrere dal seno di lei e gocciola sulle foglie basse.
L’immortale si addormenta e non vede altro che sé. Ma le piante hanno visto la divinità e il latte che ora gli cola addosso, non lo lasciano scivolare. Lo trattengono su di sé, si fanno striare. E tutte le piante prendono il latte della santa madonna. Tutte le piante si tingono le vene di bianco.
Per sempre proteggi o Cardo Mariano, le nutrici e il figlio del cielo
nuova vita scorre nel cuore della terra
una luce biancheggia nelle sue viscere
e una nuova speranza nutre l’umanità.
Ecco il cielo che si apre al figlio di Dio,
riemerga ora la luce.
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Anche a causa del conflitto israelo-palestinese, la flora e il cardo palestinese (Akub) – verosimilmente quello incontrato dalla Madonna in fuga verso l’Egitto – oggi sono a rischio.
Hélène Carlotta Lupatini