Racconti al crepuscolo e sguardi oltre la soglia: dialogo con Mercurio Books

Racconti al crepuscolo e sguardi oltre la soglia: dialogo con Mercurio Books

Quest’oggi proponiamo un’intervista a Leonardo Ducros, co-fondatore di Mercurio. Mercurio Books è una casa editrice giovane davvero interessante; pubblica libri che si pongono, più che all’interno di un insieme, nei pressi del suo limitare, sul confine. Libri che sfuggono a una definizione semplice e che hanno a che fare con il sangue e con lo spirito e con la foresta e con ciò che passa tra le generazioni: suggestioni che a noi di Calvario piacciono non poco. Ringraziamo Leonardo per la disponibilità.

1) Mercurio si presenta con la frase: «Libri sulla soglia». La casa editrice sembra porsi in uno spazio di confine nell’ambito letterario, occupando un limitare suggestivo e alienante. In che modo i libri che pubblicate affrontano il tema dello straniamento, di quella soglia tra ordinario e oltre-ordinario?

L: Lo straniamento, l’oltre-ordinario, tutti i temi che citi sono temi che ci interessano, giusto, ma la soglia a cui facciamo riferimento è un’altra. È la soglia fra i generi letterari. C’è un pregiudizio molto diffuso, nel mondo dei lettori e soprattutto di chi fa i libri, secondo cui da una parte ci sarebbe la narrativa “letteraria”, quella che fa sul serio, e dall’altra la narrativa “di genere” e che può solo essere cieco intrattenimento: noir, horror, romance, fantasy, fantascienza e tutto il resto. Ora, che i libri siano catalogati per genere in libreria ha ovviamente senso, ha senso per un milione di motivi diversi. Il problema sta nella natura qualitativa del giudizio che accompagna questa separazione. Narrativa «letteraria», cose «scritte bene», libri «che prima o poi potrebbero vincere il Nobel o qualche altro premio importantissimo»: possiamo definirlo come ti pare, ma se il valore artistico che riconosciamo alla letteratura ha a che fare con il modo in cui è scritta, con la capacità, la sensibilità e il gusto con cui viene usato il linguaggio, allora il genere della storia raccontata va bene per catalogare e vendere ma non può essere il criterio attraverso cui formulare un giudizio di valore sul testo. Una volta ho chiesto a un libraio in una libreria di catena perché Ellroy non fosse nello scaffale dei gialli (non c’era un reparto noir), e lui mi ha risposto che non se la sentiva di tenerlo lì perché «Ellroy è un grande scrittore».
Il punto è proprio questo. I libri sulla soglia sono i libri che occupano uno spazio dove la gente pensa che ci sia un muro. Sono libri che per il solo fatto di esistere mettono in crisi una certa concezione di letteratura. Libri che dimostrano la continuità, e quindi il legame, tra i generi letterari; dimostrano che la narrativa è una cosa sola, e che se vuoi venirmi a dire cosa è scritto bene e cosa non lo è non ti basta conoscerne la trama. Fa paura l’idea di andare sulla pagina e difendere una frase, una parola, e dire «chi ha scritto questa cosa ha scelto di dirla in questo modo per un motivo», e dire che se fosse stata scritta in un altro modo sarebbe stata una frase peggiore (o migliore). Fa paura perché significa prendersi un rischio, perché credere in qualcosa è sempre un rischio (due rischi: il rischio di avere torto e il rischio di essere imbarazzante, cringe, perché prendere sul serio qualcosa è visto come una colpa da chi non ha il coraggio di farlo). Sai invece cosa è rassicurante? Affidarsi a un sistema che annulla il rischio. Dire che se una storia contiene un drago o un fantasma non è una storia seria, mentre se parla di matrimoni in crisi e complessi edipici è sempre alta letteratura. Questo non è esprimere un giudizio; è vigliaccheria, è omologazione. Ogni giorno in Italia escono centinaia di libri dalle trame ordinarie e noiose, ambientati in un mondo che vorrebbe essere realistico e contemporaneo, e spesso falliscono in tutto. Non sono credibili come rappresentazione della realtà, non sono storie coinvolgenti, e soprattutto non sono scritti con cura o consapevolezza. Non è tanto una questione di sfondare un muro, quanto di dimostrare che quel muro è immaginario, è fatto di aria, pregiudizio e mancanza di coraggio. Ti hanno detto che esiste, ma non è così.

2) In che maniera il sentimento perturbante riesce a dire qualcosa riguardo la realtà?

L.: Le narrazioni che mettono in scena qualcosa di spaventoso hanno sempre riguardato le paure del proprio tempo, e non credo che la nostra epoca faccia eccezione. Ormai persino affermare che viviamo in un mondo per molti versi distopico è già un concetto che suona scontato e vecchio. Se devo mettere il perturbante in narrativa in relazione con il mondo reale direi che ha a che fare soprattutto con questo, con il fatto che viviamo già in un contesto che ci è familiare ma in cui qualcosa non torna. Pensa a quante cose profondamente sbagliate sai che esistono e avvengono ogni giorno. Puoi notarle, puoi educarti, puoi addirittura provare a cambiarle, ma anche solo vivere oggi significa accettare che ti sia familiare qualcosa che non dovrebbe esserlo. E il perturbante è proprio questo, no? È quella sensazione che hai quando tutto torna tranne un dettaglio inquietante che in qualche modo non puoi non notare. Detto questo, se devo parlare per me, direi che le storie hanno un valore a prescindere da quello che possono dirti o insegnarti sul mondo, e ho sempre la sensazione di svalutarle a ragionarci in riferimento alla realtà – semmai preferisco fare il contrario: cosa può dirmi la realtà sul modo in cui funzionano le storie?
Posizioni personali a parte, quello che posso dirti su Mercurio è che non ci interessa l’escapismo. Non vogliamo portare i nostri libri sugli scaffali per distrarre dalla realtà. E allo stesso tempo non credo che vogliamo insegnare qualcosa sul mondo. Quello che ci siamo detti quando abbiamo fondato la casa editrice è stato di cercare storie che facciano provare qualcosa di vero, che sia paura, dolore, affetto o altro o tutte le cose insieme. Nelle parole di Tiziano Cancelli, l’editore, libri che «ti mettono le mani in faccia». Che poi dicano qualcosa sulla realtà è incidentale, credo. Possono farlo o non farlo. L’importante è che ti facciano provare qualcosa. Che ti ricordino che sei vivo e esisti e provi delle emozioni, quelle sì, reali, e che a volte queste emozioni possono farti sentire a disagio, altre no, ma quello che conta è che le senti, che le riconosci. Credo sia questo che stiamo cercando di fare.

3) Basta dare una rapida occhiata al catalogo di Mercurio per notare un’attenzione verso voci e scritture inconsuete e sperimentali. Pensi che ci siano dei nuovi corsi, dei nuovi filoni letterari ben distinti dalle etichette della letteratura di genere?

L.: È difficile parlare di generi, corsi e filoni. A volte le correnti nascono come movimenti di controcultura: non esiste uno spazio in cui ti è concesso di dire la tua, e allora ne crei uno nuovo, di rottura. Altre volte è la critica, a posteriori, a dare un nome collettivo a una serie di cose che hanno qualche elemento in comune. Altre volte ancora si tratta di indicatori puramente commerciali. Sono piani diversi di analisi che usano gli stessi termini. Pensa alla parola «romance» e a quanto sono diversi i significati che assume – tutti riferiti ai libri – a seconda del contesto in cui la usi: pensa a cosa significa in ambito accademico, parlando della storia della letteratura, e pensa a cosa indica oggi sul mercato. La mia impressione è che per scarsa attenzione, per incuranza e superficialità o per tutta una serie di altri motivi più o meno identificabili, questi piani si siano confusi nel tempo. Ed è per questo che ti dicevo che il genere a volte finisce per diventare un modo pressappochista di definire il valore di un libro. Prendi Olga Tokarczuk: ha scritto alcuni romanzi che hanno più di un elemento sovrannaturale ma non li trovi quasi mai nello scaffale dei fantasy, perché ha vinto il Nobel e definirla fantasy sarebbe percepito da qualcuno come un insulto. Io trovo che ci siamo così tanto impigriti sull’idea che la narrativa sia un sistema binario, con la narrativa di genere e commerciale da una parte e quella letteraria e “raffinata” dall’altra, che ormai oggi sia diventato più stimolante per un autore o un’autrice confrontarsi con generi letterari meno riconosciuti. Ma farlo in modo nuovo, originale, significa rifiutarne gli stilemi. E qui torniamo al concetto di piani diversi: se per esempio con «fantasy» intendi «letteratura con elementi fantastici» allora non mi sembra che stiano nascendo nuovi generi; se invece «fantasy» è un’etichetta di mercato che indica una storia prevedibile, che ha spesso gli stessi elementi e le stesse atmosfere ed è scritta tendenzialmente con poca cura, allora sì, stanno nascendo delle nuove etichette. Allora ti direi che stanno uscendo sempre più libri che mettono in crisi il sistema attuale. E sono fiero e contento di aver facilitato questa crisi co-fondando Mercurio.

4) Al di là della questione tematica, in che modo Mercurio presta attenzione alla letterarietà, allo stile, alla scrittura?

L.: Nell’unico modo possibile: stando sulla pagina. Da quando li scegliamo a quando li traduciamo e revisioniamo. È chiaro che la soglia è un concetto che tieni con la linea editoriale e non solo col singolo libro, e quindi puoi permetterti di sbilanciarti ogni tanto in direzione di una trama più coinvolgente e una scrittura più facile, oppure di una scrittura più densa e interessante e una trama meno ricca, ma siamo sempre molto severi con noi stessi, vogliamo essere fieri di ogni libro che pubblichiamo e ci è capitato di scartare storie potenti perché la scrittura non era abbastanza buona, e lo faremo ancora. E prendere un libro buono non basta, serve cura in tutte le fasi del processo. Abbiamo affidato le voci dei nostri libri a traduttrici fantastiche come Valentina Maini, Viola Di Grado o Claudia Durastanti (e tante e tanti altri). Una scrittura valida e consapevole è sempre molto legata alla lingua d’origine, e quando abbiamo preso libri con una particolare attenzione allo stile ho sempre avuto paura che la traduzione non sarebbe stata all’altezza. Poi ho letto soluzioni come «la schiena morta e spezzata» in Lo studente del divino (Micheal Cisco tradotto da Viola Di Grado) o «raccontiamo storie per espiare i fallimenti della nostra vita» in Paradiso terrestre (Laura van den Berg tradotta da Marta Olivi) e mi sono tranquillizzato. 

5) È molto difficile farsi conoscere per gli autori emergenti. Mercurio fa scouting? 

L.: In tutti i modi possibili. Ho un listone di riviste che pubblicano racconti, lo aggiorno ogni volta che qualcuno mi nomina una rivista nuova, e le teniamo tutte d’occhio. Valutiamo tutti i manoscritti che ci arrivano e abbiamo fatto una call pubblica per riceverne sempre di più. Leggiamo i testi che ci arrivano dagli agenti e dalle scuole di scrittura. Dimmi un modo di cercare nuove voci e se non lo usiamo già inizieremo a usarlo. A maggio 2023 Tiziano Cancelli, Matteo Trevisani, Antonio Sunseri, Simone Caltabellota, Francesco Pedicini e io abbiamo fondato Mercurio avendo già in partenza la volontà di pubblicare italiani, ma non è facile trovare quello che stiamo cercando. Vogliamo qualcosa di bello e di nuovo. Escono un sacco di libri, se dobbiamo pubblicare qualche nuova voce, e vogliamo farlo, vogliamo che sia una voce che vale la pena ascoltare.

6) Prima di salutarci ti chiediamo, se ti va, di dirci qualcosa sull’orizzonte di Mercurio e sui prossimi progetti. 

L.: Il 2025 sarà il secondo anno di Mercurio. Ci saranno più libri, e forse ci saranno anche i primi italiani. Ma per me l’orizzonte della casa editrice ha più a che fare con quello che è già stato fatto. In questi giorni sto finalmente leggendo The book of love di Kelly Link (tradotto da Claudia Durastanti), è l’ottavo dei nove libri pubblicati nel primo anno di Mercurio (il nono esce a novembre), per certi versi il più importante, e io ero l’unico in casa editrice a non averlo ancora letto. È il primo libro di Mercurio che affronto come puro lettore: non lo sto leggendo per decidere se pubblicarlo, non sto revisionando la traduzione, non sto correggendo le bozze. È stato anche il primo grande colpo della casa editrice: abbiamo preso i diritti più di un anno fa, quando nessuno conosceva Mercurio e forse non avevamo neanche un logo definitivo. Mi sta piacendo, mi sta piacendo nel modo in cui dovrebbero sempre piacere i libri: me lo porto in giro, anche se non mi entra in tasca, lo apro per leggerlo anche solo in sessioni da dieci minuti, ci penso quando non lo sto leggendo. E non voglio dire che farebbe questo effetto su chiunque, è chiaro che ho tutti i motivi del mondo per parlarne bene. Ma sono contento che stia avendo questo effetto su di me. Sono contento che il primo libro della casa editrice che leggo senza averci lavorato sia un libro che fa tutto quello che speravamo facessero i nostri libri. È questo l’orizzonte di Mercurio, per me: altri libri che fanno provare qualcosa di vero, che sia paura, dolore, affetto o tutte le cose insieme. Libri che ti mettono le mani in faccia.

La redazione di Calvario coglie l’occasione per fare i complimenti a Mercurio per il solco che sta tracciando nel panorama editoriale italiano e per ringraziare ancora una volta Leonardo per la disponibilità. 

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