La casa in campagna – racconto di Maddalena Crepet
Redazione2025-05-05T06:34:57+02:00La guera è sempre guera. Si nun te uccide colle granate o cor fucile, te uccide in artro modo.
A Greg la frase della nonna risuonava in testa come i tamburelli alla festa patronale. Nemmeno c’era più quella, da un po’ di tempo a quella parte. Banditi i festeggiamenti, in ogni loro forma ed espressione. Era vietato, ma che dico, abolito, demolito, essere felici. Ché si sa che tutta ‘sta storia della felicità è una gran fregnaccia. Anche questo gliel’aveva detto una volta la nonna, mentre spignattava a destra e a manca come una disperata. Aveva proprio l’aspetto di una disperata. Greg allora aveva appena compiuto sedici anni, e non sapeva davvero quale fosse, la faccia della disperazione. Figuriamoci il suo alter ego, la felicità. Vedi un po’, si trovi un par de fotografie nei cassetti, sì, te dico che sì, in quelli della sala. Allora Greg, anche lui, si era messo a girare come massacrato da un nuvolo di zanzare, era indemoniato.
Il sugo ribolliva, insieme a qualche avanzo di carne, ritagli e poco più. La nonna, tempo addietro, gli aveva dato un altro, preziosissimo insegnamento di vita. Quanno che vai dar macellaro, devi sempre fa’ la figura der poraccio, pure che nun lo sei… vabbè, nun è il caso nostro, però dico, pure che nun lo sei, devi fa’ finta de piagne miseria. Allora sai come se fa? Greg aveva scosso il capoccione ricciuto, biondo come quel liquorino che si beveva la sera Corinna, poco prima di coricarsi, Ché te fa toglie li pensieri. Allora, basta che dici che te servono pe’ dalli alle bestie. Alle bestie? Greg si era sistemato gli occhiali, ché crescendogli la testa, e avendo il viziaccio di usarli tipo come un cerchietto, alla fine aveva finito per allargarli. Ma i sordi, fijo mio, nun crescono ‘ndo passi. Quindi mo t’attacchi, e te tieni l’occhiali così, tanto fra un po’ vedrai, cresci, e con la crescita se sa che la vista s’aggiusta. A Greg questa teoria non aveva mai convinto, ma tant’è, mica aveva altri parametri a cui affidarsi, con cui confrontarsi. Per studiare studiava anche, non era quello. Ma aveva pur sempre appena sedici anni. Alla fisica, all’anatomia, ci sarebbe arrivato molto tempo dopo. O forse mai.
Comunque le bestie per nonna Corinna altro non erano che i cani. Aveva sempre odiato i cani, per questo non ne avevano mai avuti. Quando un giorno, poco prima di essere spedito come di consueto in missione dal macellaro, Greg aveva provato a chiedere il perché di cotanto astio, la nonna aveva risposto, secca, Quanno c’era la guera, se li magnavamo, e quelli che nun riuscivamo a catturà, se facevano più cattivi dei nemici. Poi, aveva scatarrato saliva datata 1878, e aveva aggiunto, Cassandra campagnola, Vedrai tu, fra un pochetto. Gli aveva infilato poche lire fra quelle mani che ancora non avevano conosciuto il peso del lavoro, né quello della guera, tantomeno quello dell’esistenza. Erano troppe poche anche per dare credibilità alla scusa del cibo per cani, soprattutto perché Velletri mica era Roma, qui tutti sapevano gli affari di tutti, e di certo tutti sapevano che loro, i Bonifaci, non avevano cani, nemmeno di minuscola taglia. Il macellaro però, a dispetto delle parole serpentesche della nonna, era un uomo generoso, di poche parole. Il che lo rendeva incline alla concessione, e molto poco incline alle chiacchiere spicciole.
Quel giorno poi, gli era andata meglio del previsto. Era tornato con un bel bottino, tre stinchi di maiale, e due ali di pollo. Roba da leccarsi i baffi. Greg, almeno lui, si sarebbe leccato qualcos’altro. La nonna aveva ispezionato quelle vivisezioni davvero di bestie con la cura con cui il medico del paese, il Dottor Gambacorta, gli ispezionava la gola quando si faceva tanto rasposa e dolente da impedirgli di ingurgitare perfino quel sughetto delizioso. Mmm… quello t’ho detto sempre che è un cravattaro, Gregò. Allora Greg aveva pensato che ancora non conoscesse il significato nemmeno di quella parola, e che se anche l’avesse conosciuto, non le avrebbe voluto affibbiare il volto pacioso di quel macellaio.
Ad ogni modo, il sugo per essere venuto buono, era venuto buonissimo. E, malgrado le dicerie che si spandevano peggio del colera, loro due avevano ancora difese immunitarie da esperimento chimico. Tutto merito della mano sinistra della nonna, ché la destra ce l’aveva bella che mozzata, per quattro dita.
La versione sul misfatto era cambiata almeno quattro o cinque volte. La prima era stata, come non immaginarlo, che gliel’avesse mozzata un cane, durante la guera. Uno di quei bastardi che so’ boni a campà solo pe’ dannà l’artri, un po’ come certi cristiani. La seconda era stata più famigliare. Si trattava di un non ben specificato strumento da lavoro di suo padre, il bisnonno, che oltre ad avere lo stesso nome del bisnipote, o meglio, il bisnipote ad avere il suo, era anche un falegname noto in tutta la zona. Greg non capiva bene a quale zona circostanziasse le arti lignee del bisnonno Gregorio, ma tant’è, mica era andato ad approfondire. Insomma, una matina che il sole m’accecava davero, aveva preso a giocare con uno di quegli attrezzi, e zac, le quattro dita erano partite. Ero piccoletta, che voi. Si era giustificata senza alcuna reale necessità di farlo. La terza risaliva a diversi anni in avanti. La cronologia per nonna Corinna era un po’ come la geografia, discutibile. Insomma, era al primo anno di matrimonio, co’ quello sciagurato de tu’ nonno. Sciagurato, avrebbe compreso da solo molto più tardi, sia in senso romenscamente – Roma era pur sempre un Impero – dispregiativo, sia in senso letterale. Era infatti morto di crepacuore ad appena trentadue anni. La morte della rana ha fatto, hai presente come crepano le rane? Greg aveva di nuovo scosso il capoccione non ancora -one. La nonna aveva scatarrato. A zampe all’aria, tipo gli scarafaggi. In questo primo anno di matrimonio che si sarebbe presto detto molto infelice se non fosse stato che il suo termine contrario era già stato bandito dal ricchissimo vocabolario della nonna, quest’ultima aveva perso le sue quattro dita, e con esse, anche la fede. Quando Greg le aveva chiesto, un poco sommesso, come avesse fatto a perderle, la nonna, facendo gli occhi al cielo e non credendo già in nessun santo, aveva replicato, strizzando la voce come i panni lavati, L’amore fa fa’ cose strane, Gregò. Su questo, Greg, non aveva chiesto oltre. La quarta era l’ultima di cui preservava memoria, un po’ come l’ultima di quelle dita misteriosamente mozzate. Si trattava di un’amica sua, Una che nessuno s’è mai pigliato, e alla fine ha finito pe’ portà zella. Questa amica sua a quanto pareva, portava molta sventura. Non che prima gli fosse andata molto meglio, ai Bonifaci, ma questa era nota in tutta la zona. Porta zella, te dico. Lo dicono tutti. Questa portatrice vivente di sventura aveva avuto la bella idea di chiedere riparo in casa della nonna, dopo che l’ennesimo uomo l’aveva cacciata. Poracci, nun sanno più come uscirsene. Siccome che nun sapeva davero dove sbatte la capoccia, ché bella era bella forte, ma pure tanto sfortunata, e nessuna ce la voleva più, la nonna nella sua naturale magnanimità, l’aveva accolta, a braccia aperte, e pure, anche questo, a quanto pareva, a mani aperte. Il nonno era già crepato e sepolto in giardino, sotto un ulivo, Ché mica me fido dei cimiteri, e meno che meno dei beccamorti. Quindi c’era stato un altro, notevole salto in avanti. Io ero ancora dalle suore, Ché pure se erano delle bestiacce peggio dei cani, almeno me facevano commodo, ché c’avevo meno da spiccià. Era stato in quel frangente, mentre Greg era nelle grinfie di due suore che poi avrebbe scoperto sorelle davvero, che quell’amica sua le aveva attaccato la zella. All’inizio aveva pensato fosse un brutto male, di quelli incurabili. Il che equivaleva a dire che era praticamente tutto. Si era angosciato al punto che pensava che, pur giovincello com’era, sarebbe morto crepato anche lui. Allora la nonna si era messa a ridere, e forte anche, e gli aveva detto fra i denti gialli e neri di incuria, Ma mica è ‘na malatia. Stai tranquillo, Gregò, che io solo nun te lascio. Soltanto che per non lasciarlo solo, aveva dovuto perdere le sue quattro dita. E, manco a dirlo, anche l’amica sventurata.
Questo fatto di vivere da poveretti però era diventato così pervasivo da essere quasi il principio costituzionale, esistenziale, della famiglia Bonifaci. Ovvero, di Greg e di nonna Corinna. Tanto era vero che la nonna aveva perfino riesumato una serie di abiti, Ché tanto ar mercato tutti quegli azzeccagarbugli fanno solo perde tempo e sordi. Per non parlare dei sarti. Ce n’era solo uno in tutta Velletri. Si chiamava Ernesto, e aveva un paio di orecchie a sventola in un corpicino minuto che si aveva paura che da un momento all’altro potesse spiccare il volo, insieme ai suoi vestiti. Per vestirsi, si vestiva di un gran bene. Ma si diceva che fosse nato dalla tresca di una donna della zona con un tedesco. E la cosa, al tempo, iniziava a piacere ancora meno di prima. La nonna, negli ultimi tempi in cui frequentava ancora il suo atelier, aveva preso a parargli in tedesco davanti a tutte le signorotte. Naturalmente, la nonna non sapeva parlare una parola di tedesco che non fosse Achtung! O schön, che anche questo non era il nome di un malanno, ma voleva dire “bella”. Quando Greg le aveva provato a chiedere come facesse a conoscere queste due parole, e in particolare la seconda, nonna Corinna aveva drizzato la schiena da pachiderma, e con una punta di malizia che le aveva rotto qualche capillare fragile come la sua pelle, aveva detto, Guarda che pure se nun c’ho quattro dita so’ sempre stata la più bella della zona. Pe’ questo me invidiano tutte, e tutti. E questo spiegava anche perché le suddette signorotte, e il suddetto sarto Ernesto, dopo le sottili provocazioni linguistiche della nonna, avevano preso non solo a non frequentare più lei, ma a non frequentarsi più fra di loro. In altri termini, il povero Ernesto aveva chiuso i battenti.
Insomma, questa faccenda dell’ostentazione della povertà, era proprio il caso di dirlo, le aveva preso troppo la mano. E così in men che non si dica, prima tutta Velletri, e poi tutta la zona, aveva iniziato a prendersela con i Bonifaci. Si dicevano brutte parole in giro, che in confronto quelle sulla scomparsa amica sventurata, e quelle mezze crucche erano proprio acqua fresca.
La nonna aveva iniziato a spargere amuleti in tutta casa, sale in ogni angolo, ché pure se cominciava a costare caro, era pur sempre meglio della zella.
Una domenica aveva anche fatto venire una maga. Viveva a Frascati, e s’era fatta un bel viaggio per andare a trovarli. La nonna l’aveva rimarcato più volte, Hai capito, Gregò, vordì che è grave. Allora Greg aveva ancora pur sempre sedici anni, e cosa volete che ne capisse di sfortuna.
Questa sedicente maga era grassa da non entrare in una sedia sola. L’aveva fatta sedere per terra, e lei aveva detto che era pure meglio, ché così sentiva di più le energie. La nonna aveva borbottato, Tanto vedrai mo, come se dimagrisce.
Dopo una serie innumerevole e incomprensibile di riti, la sedicente maga aveva sentenziato che in effetti in quella casa c’era davvero troppa negatività, Da far paura, aveva aggiunto, rabbrividendo nei suoi quintali di pelle rugosa.
Poco prima di tornarsene a Frascati, aveva sussurrato alla nonna, che però era mezza sorda, e se l’era dovuto far ripetere, Vi consiglio di lasciarla il prima possibile, questa dimora. Si era guardata intorno con quegli occhi da triglia lessa, e poi aveva aggiunto, È una bella dimora di campagna, non c’è che dire. Allora la nonna per timore che gettasse ancora più scarogna, le aveva regalato tutti gli ortaggi che aveva raccolto. Nun so’ morti, ma credo che abbastano.
La sedicente maga aveva sorriso mancanza di denti, e si era dileguata nell’oscurità.
Era stato poco dopo quella domenica di metà ottobre, quando ancora faceva un freddo che non si poteva chiamare nordico, che nonna Corinna aveva chiesto al nipotino Gregorio di cercare quelle due fotografie. La casa l’avrebbero sgomberata a breve, sarebbe stata questione di poche settimane, Ché tanto vedrai che succede fra un po’.
Dopo tanto sudore, tanta polvere inalata, ed espulsa, Greg aveva trovato quelle due istantanee. Ritraevano sempre la nonna, insieme ad altre due persone. Lo sfondo era sempre lo stesso. La loro casa di Velletri. I due erano una giovane donna, chiara da considerarsi molto bionda, e anche molto spigolosa, e un giovane uomo, per nulla biondo, ma reso spigoloso dalla divisa che aveva indosso.
Dietro, in entrambe, c’era scritto, con la grafia snella della nonna, Primo d’aprile, Velletri. Giovanni Bonifaci e Dorothea Schmidt.
L’aveva guardata per bene, in quella faccia ora decrepita, un tempo forse bella, sicuramente giovane. Proprio come Giovanni e Dorothea.
So’ i genitori tuoi, Gregò, aveva scatarrato, questa volta vistosamente, er fijetto mio, in congedo, poco prima che la guera se lo richiamasse e se lo magnasse, e Dorothea, incinta de te de quarche mese, poco prima che se ne annasse. Aveva capito la mal parata. Ho sempre pensato che era una mezza maga, pure lei.
Greg si era asciugato qualche lacrima incastrata fra le ciglia troppo lunghe, poi, aveva pulito gli occhiali con il bordo della camicia del bisnonno omonimo.
Lo vedi, che la felicità nun esiste, Gregò. Esistono l’attimi, le istantanee, proprio come a queste, aveva fatto per riprendersi le due foto, prima te lo impari, e meglio è. Aveva richiuso entrambe in una sorta di agendina, un taccuino di pelle che emanava un odore nauseabondo, Ed è meglio che me lo imparo pure io, er prima che posso. Si no me ritrovo a piagne senza più l’occhi.
Greg aveva corrugato la fronte, ricacciando dentro le sue, di lacrime.
Il primo d’aprile di diverso tempo dopo, come se il destino o chiunque al suo posto si fosse divertito a giocare con i numeri, Gregorio non aveva più sedici anni, ma quasi ventuno. Aveva la stessa età di Giovanni Bonifaci, suo padre.
Nonna Corinna, aveva pensato a un pesce d’aprile, ma era troppo avvezza alla vita per non credere che fosse già avariato. Aveva tirato fuori la divisa, la stessa di quelle fotografie.
Nello specchio macchiato di quella nuova casa non più in campagna, aveva visto il riflesso di Gregorio Bonifaci, soldato di leva.
Dalla finestra da cui non si ammiravano più sterminati ettari di vigne, e uliveti, ma solo colate di calce e mattoni impilati, aveva stramaledetto chi quei terreni li aveva bonificati.
Che arivasse davero una vorta a lui, la scarogna.
Maddalena Crepet