Foedus – racconto di Adriana Chiapperino
Redazione2025-10-13T13:21:31+02:00
Ma ti assicuro:
com’è vero che il Signore vive e tu sei vivo,
tra me e la morte c’è solo un passo.
(Sam1, 20:3)
Lo trovai al solito posto. Nell’udire i miei passi, trasalì. Poi sorrise nel vedere che ero io, e mi baciò sulla fronte.
– Temevo che fosse successo qualcosa che ti tenesse lontano da me.
– No. – risposi. Non ancora, pensai.
Aveva acceso un piccolo fuoco e ci stava cuocendo sopra della selvaggina. Mangiammo in silenzio la carne, assieme a pane e vino che avevo rubato dalla tavola e nascosto sotto il mantello mentre i servi sparecchiavano.
– Ti ho portato questa. – dissi, porgendogli la piccola cetra dorata, la sua preferita. Non l’avrebbe mai lasciata dietro se non fosse stato costretto ad abbandonare il palazzo così in fretta. Prima di scappare, aveva dovuto preferire l’arma alla musica.
Chinò il capo per ringraziarmi, si strofinò le mani sulla tunica e con il mento affondato nel petto, raccolto come in preghiera, iniziò a suonare.
La logica dei suoi gesti – così precisi e misurati – sfuggiva completamente alla comprensione dei miei occhi, catturati dalla forza gentile che scorreva in lui, pulsante nel reticolo di vene in rilievo sotto la pelle abbronzata della mano in movimento.
Com’era bello il suo volto plasmato dal suono: le sopracciglia corrugate, i grandi occhi neri stretti in un’estasi concentrata, una ciocca di capelli scivolata al nastro dorato con cui li aveva legati sulla nuca, ora ricadeva pigra al lato del naso affilato, il labbro inferiore tormentato dal silenzioso morso dei suoi denti.
Aveva le fattezze di un poeta, di un principe, di un condottiero, non certo di un pastore. Di quella vita precedente non era rimasta traccia alcuna nel suo aspetto: le grezze pelli di capra sostituite da lini pregiati e ricamati, i piedi non più scalzi, ma protetti dal cuoio dei sandali allacciati fin sui polpacci torniti, i lunghi capelli color del rame, ora profumati e intrecciati con un nastro d’oro, non erano più quel nido ribelle con cui si era presentato per la prima volta al cospetto del sovrano. Da allora, si era rivestito di nobiltà e, in breve tempo, era divenuto mio pari, mio riflesso e mio complemento.
Eppure, qualcosa nel suo incedere dinoccolato come di giovane cervo sui monti, nell’umiltà di inclinare il capo quando in ascolto delle parole degli altri, nella stretta veemente della mano sulla mia spalla quando mi chiamava a sé, conservava ancora un che di selvatico, un’essenza animalesca compenetrata fin nel profondo delle sue membra che lo teneva sospeso tra due mondi: il palazzo e il deserto, il dentro e il fuori, l’uomo e Dio.
Fin dal principio avevo capito che era caro al Signore come nessuno. Bastò un momento e divenne caro anche agli uomini, specialmente a me.
Non ho mai provato alcuna invidia per lui, che è sempre stato solo grazia davanti ai miei occhi.
Anche chi oggi vuole vederlo morto, ieri lo ha amato. Lo so bene perché nella casa del nemico io passo le mie giornate, combatto nel suo nome e lo chiamo re e padre. Prendo il pane dal suo piatto e bevo dal suo calice, ma sotto alla tavola affilo la mia lama, pronto a sguainarla anche contro colui che mi ha generato, qualora dovesse ergersi a offendere il cuore del mio cuore.
La luna dell’ultimo giorno adesso non è che un arco teso nel cielo, non basta a illuminare la notte. Anche del fuoco, ormai, resta solo un pugno di braci. David smette di suonare quell’inno senza nome. Depone la cetra e mi afferra le mani, le stringe fino a farne impallidire le nocche. I suoi occhi sono due pozzi scuri di pianto, come i miei.
– Gionatan, io giuro… – ma lo zittisco prima che possa finire perché non una parola esca sacrilega dalle sue labbra: l’orecchio dell’Eterno è sempre teso.
Il patto che ora stringiamo non ha testimoni umani, ma la palma e la cicala, le stelle e il vento si fanno nostri garanti. Sopra di noi, l’Onnipotente. Prego che anche questa volta sorrida al suo prediletto, come ha fatto in passato, affinché il germoglio possa diventare albero rigoglioso sotto le cui fronde potrò trovare riposo.
Adriana Chiapperino