Dvoeverie: simboli pagani nella cristianità popolare russa – Articolo di Camilla Azzoni

Dvoeverie: simboli pagani nella cristianità popolare russa – Articolo di Camilla Azzoni

“Dvoeverie, ovvero la sopravvivenza di credenze e pratiche pagane unitamente a quelle cristiane, è spesso stata vista come una caratteristica della cultura popolare russa, creando una differenziazione fondamentale tra la situazione culturale russa e quella dell’Occidente”.

(V. ŽIVOV, “Dvoeverie i osobyi charakter russkoj istorii”, in: Razyskanija v oblasti istorii i predystorii russkoj kul’tury, Moskva, Jazyki slavjanskoj kul’tury, 2002, p. 311) Traduzione dal russo dell’autrice.

OPINIONI A CONFRONTO

Secondo Uspenskij, come riportato da Živov, la situazione religiosa della Russia nel primo periodo a seguito della cristianizzazione era paragonabile alla situazione linguistica della diglossia: considerando i due poli contrapposti religione Cristiana – antica religione pagana, non è riscontrabile un’area di transizione. Al contrario, le due credenze si mantenevano distinte e la popolazione attingeva da una o dall’altra a seconda delle situazioni e dei contesti: questa contrapposizione si concretizzava nella coesistenza della figura del sacerdote e della strega come i due centri della vita spirituale della Russia rurale. Gli elementi della cultura pagana sono con il tempo stati soggetti alla perdita del loro significato originale in due modi: volontariamente, come nel caso dei missionari, gli usi e le credenze pagane sono state assimilate nel sistema delle credenze cristiane (come, ad esempio, la trasformazione delle divinità pagane minori in santi cristiani, come nel caso di Sventovit – San Vito), oppure una perdita graduale di significato; in questo caso, la desemantizzazione non è altro che il risultato della confusione. La popolazione russa si è quindi trovata di fronte a una duplice problematica: se da un lato solo alcuni elementi venivano assimilati e rimaneggiati nell’ottica cristiana, altri venivano tacciati di stregoneria e superstizione.
Il termine dvoeverie ha avuto una notevole influenza negli studi slavistici a partire dalla metà dell’Ottocento, ma negli ultimi decenni è stato messo in discussione il suo significato originario: la studiosa britannica Stella Rock ipotizza che il significato reale del termine si sia caricato di significati che non corrispondono all’originale: la definizione di dvoeverie è derivata in parte dal testo omiletico dell’XI secolo denominato “Слово нѣкоего Христолюбца и ревнителя по правой вѣрѣ” (“Sermone di un certo «Amante di Cristo» e difensore della vera fede”), ma, secondo la studiosa, occorre notare che nel sermone non ci siano polemiche anti-pagane (incluse quelle che vengono normalmente citate come prove di doppio credo). Sempre Rock ipotizza che il termine sia stato originato come un calco di diversi termini greci tutti traducibili come dvoeverie, sottolineando che il significato ricorrente rimandasse al concetto di “essere incapaci di decidere”, “essere incapaci di comprendere la vera natura di qualcosa”: in tutti i casi, non ci sono rimandi al concetto di un singolo che crede simultaneamente in due fedi o decide a cosa credere. In altri testi dell’epoca pre-petrina dvoeverie significa “ipocrita” e rimanda all’incapacità o alla non volontà di identificarsi unicamente con l’unica e vera fede Ortodossa, in riferimento ai Luterani o a coloro che appoggiavano la fede Cattolica Romana.
Dare un significato univoco al termine dvoeverie risulta problematico, e di conseguenza anche la definizione di ciò che comporta mette di fronte a difficoltà. Giuseppe Ghini1 distingue tra due grandi filoni di pensiero inerenti al concetto di doppia fede: coesistenza di due fedi distinte ma ugualmente praticate oppure compresenza simultanea di elementi pagani e cristiani.
Secondo Lichačëv, come riportato da Ghini, dvoeverie non sarebbe altro che un “mito inventato a tavolino”, ammettendo comunque che alcuni riti precristiani siano continuati anche in epoca cristiana: sia Lichačëv che Pierre Pascal concordano nel dire che ad essere sopravvissuto alla cristianizzazione non è stato il culto pagano in sé, ma la devozione per la Terra e per la Natura dell’intero popolo russo.

Le parole di Ghini nell’articolo citato risultano estremamente esplicative:
“Come già per il paganesimo, a maggior ragione nel rapporto con il folklore, il cristianesimo accettò, tollerò, assunse, spesso senza neppure risignificarli, elementi con esso compatibili, accettando senza condividerli ma col proposito di recuperarli quegli aspetti, come la mentalità magica, che erano talmente radicati da rendere improbabile un loro rapido abbandono da parte delle popolazioni cristianizzate. […] In questa lunga fase di trapasso il paganesimo cui Vladimir aveva tentato di dare coerenza di sistema e a cui non erano evidentemente estranei elementi — la mentalità magica, soprattutto — propri di un paganesimo di assai più antica origine, incontra il sistema religioso cristiano. Conseguentemente, elementi pagani appartenenti per lo più alla sfera rituale, ma anche a quella ideologico-cognitiva, laddove ciò si dimostra possibile, vengono a coesistere (le superstitiones dei Padri della Chiesa), ovvero vengono assimilati all’interno del sistema religioso cristiano previa risemantizzazione (gli dèi pagani trasformati a demòni) o desemantizzazione (la degradazione folklorica).”

FOLKLORE, FESTIVITA’ E SENTIMENTO RELIGIOSO

Le feste popolari agrarie vennero caricate di significato religioso dal Cristianesimo facendole coincidere con le feste religiose da esso introdotte: alcune di esse continuano a sopravvivere ancora oggi, indipendentemente dalla fede religiosa. Taluni elementi di religione pre-cristiana sono riscontrabili nel calendario delle festività religiose Ortodosso, come ad esempio la presenza di banchetti funebri, festeggiamenti e la ricorrenza dell’elemento arboreo e vegetale in ambito decorativo e rituale.
Queste feste religiose sono così profondamente radicate nella cultura popolare che anche in epoca recente, durante il periodo sovietico, nonostante i circoli culturali sovietici cercassero di instillare l’ateismo per favorire l’edificazione del comunismo, non riuscirono mai a sradicare queste usanze. Al contrario, sembra che il crescente interesse per il folklore negli anni Trenta abbia caricato di valori ideologici il ritorno alle radici della fase pre-cristiana.
Oltre alle feste fondate sui dogmi e sulla storia sacra della chiesa Ortodossa, esistono anche festività dei santi della Chiesa (come, ad esempio, le celebrazioni per S. Nicola e S. Igor); inoltre, nella cultura popolare erano presenti anche feste e riti di retaggio pagano legati all’alternarsi delle stagioni e all’agricoltura, come la Festa del Solstizio Invernale, l’Incontro della Primavera, i festeggiamenti per Equinozio Estivo e la Festa della Mietitura.
La Chiesa le combatté, proibendole in alcuni casi, in altri utilizzandole per propri fini, facendole coincidere con il calendario religioso. La conseguenza fu che la popolazione adempiva ad entrambi i riti nello stesso giorno. Il popolo talvolta interpretava in modo sbagliato la dottrina religiosa, dandole un significato che non era quello reale, ma che si avvicinava di più alle proprie esigenze. Propp mostra che spesso c’è coincidenza tra le feste che la chiesa ha proibito apparentemente e quelle che ha assimilato.
Di seguito vengono riportate alcune caratteristiche delle festività tradizionali, indicando come il clero proibì, ignorò o assimilò alcune pratiche.
In occasione della Festa di Natale (sviatki), nel periodo dal 24 Dicembre al 6 Gennaio, si svolgevano feste e danze, venivano preparati cibi per propiziare l’agricoltura e commemorare i morti. Tra i giovani era in uso la pratica del travestimento (sia da animali che dall’altro sesso) e giochi di imitazione del matrimonio. Durante il cenone commemorativo dei defunti, si mangia kut’ja e si beve kvas. Talvolta, la kut’ja si metteva nell’angolo sacro vicino all’ultimo covone della mietitura. Era usanza, inoltre, scaldare e offrire da mangiare ai propri avi defunti.
La domenica prima di Pasqua, denominata Domenica dei Salici, si benediva la chiesa con rami di salice: il salice appare attraverso la neve quando ancora non si è del tutto sciolta, quindi la credenza popolare è che negli amenti del salice sia concentrata tutta la forza vegetale e vitale. La Chiesa utilizzò questa convinzione per i propri fini, chiamando l’ultima domenica prima di Pasqua la domenica del Salice (effettuando una corrispondenza palma/salice).
Il settimo giovedì dopo Pasqua (semik) e durante la festa della Trinità che si svolgeva sette settimane dopo la Pasqua, si praticavano riti di commemorazione dei defunti, unitamente al rito del comaraggio: le ragazze si legavano con rapporti di amicizia e prendevano i rami di betulla per intrecciarli in modo da conservarne la forza vitale (i riti che avevano a che fare con la betulla erano ufficiati esclusivamente da donne). La betulla è l’albero più precoce a rinverdire quando l’inverno si conclude, si crede che la forza sia concentrata nei rami. All’antico rito del comaraggio si è sovrapposto il rito del giuramento e dello scambio delle croci. I rami di betulla venivano benedetti in chiesa fino al XIX secolo.
La Festa di S. Giovanni Battista / Ivan Kupala / Kupalo veniva celebrata il 24 giugno, giorno del solstizio estivo. La Chiesa fece coincidere la festa del solstizio d’estate con la festa della nascita di S. Giovanni Battista, chiamata dal popolo S. Giovanni Kupalo (ossia il bagnatore, battista). Si procedeva all’accensione di enormi falò e alla raccolta di erbe medicinali non per motivi propiziatori in ambito agrario, ma come tipologia di pratica più tendente alla stregoneria. La Chiesa da un lato proibiva questi festeggiamenti, dall’altro li influenzava attivamente: le erbe, dopo essere state benedette in chiesa, diventavano medicamentose e venivano conservate per tutto l’inverno.
Il culto delle piante era profondamente radicato, e si manifestava nel portare fisicamente una pianta nelle abitazioni e nei villaggi. Non era usanza trasportare un abete come in Europa occidentale, bensì una betulla.
Per quanto riguarda l’usanza delle recite funebri natalizie, ovvero l’abitudine di travestire un ragazzo da cadavere (o un pupazzo, come avveniva per l’Addio al Carnevale, che veniva poi distrutto e sparso per i campi) e portarlo in processione, Propp afferma che si tratti di rituali con un “chiaro orientamento anticlericale”, in quanto, secondo P.N. Berkov “[questi rituali] riflettono un atteggiamento ironico nei confronti del rituale religioso”, e la processione ha un chiaro rimando al paganesimo. La presenza del clero durante questi riti rafforza l’elemento ironico2, ma testimonia anche la coesistenza degli elementi della religione pagana pre-cristiana e quelli della posteriore religione cristiana. Particolarmente oggetto di indignazione da parte del clero era l’usanza di accompagnare il rito funebre simulato con le risate, in modo da trasformarlo in una parodia satirica. L’importanza del rito dell’uccisione per la successiva rinascita in forza naturale fecondatrice, come per quanto concerne l’usanza in occasione dell’Addio al Carnevale di distruggere il fantoccio e spargerlo nei campi, era pratica diffusa. In epoca cristiana si trasmette, spogliata della funzione agricola, anche nella risurrezione di Cristo in occasione della Pasqua, con l’uso delle uova come simbolo di rinascita.

STELLA ROCK E IL MITO ACCADEMICO DEL DVOEVERIE

Nel saggio intitolato “Popular Religion in Russia: Double-belief and the making of an academic myth”, l’autrice britannica Stella Rock si propone di dimostrare come il concetto di dvoeverie altro non sia che un mito generatosi negli ambienti accademici: infatti, gli studiosi a partire dall’Ottocento hanno definito la religiosità cristiana medievale della Russia come fortemente contaminata da elementi sopravvissuti di paganesimo, protratti dai fedeli fino al XX secolo in modo cosciente o inconsapevolmente.
Rock sostiene che gli studiosi del diciannovesimo secolo, fortemente ossessionati dal folklore russo (utilizzato anche come strumento dalla propaganda nel periodo socialista), abbiano fatto un uso improprio del termine dvoeverie, non corrispondente alla realtà dell’espressione così come era stata interpretata inizialmente: per dimostrare ciò, nell’opera vengono analizzate le apparizioni del termine e delle varianti lessicali nelle fonti dall’XI al XVII secolo.
Nella Prefazione al libro l’autrice spiega come inizialmente non si fosse proposta di scrivere un saggio per contestare l’uso moderno del termine dvoeverie ma, al contrario, di ricercare e ricostruire la ritualistica medievale tacciata di doppia-fede: nell’analisi dei documenti antichi, si è resa tuttavia conto che il termine dvoeverie appariva raramente, e in contesti che non avevano nulla a che vedere con il sincretismo tra fede cristiana e credo pagano.
L’autrice non si propone di dare una risposta esaustiva alla questione: vuole analizzare la varietà di usi del termine dall’XI secolo al XVII secolo, evidenziando come essi siano in contrasto con il significato che è stato dato nella storiografia moderna.

La definizione di dvoeverie non è chiara: può indicare uno stato di fede sincretica in cui gli elementi pagani e cristiani si sono influenzati a vicenda e successivamente fusi, oppure una resistenza al Cristianesimo da parte della popolazione rurale, facendo sì che i due credi si mantenessero distinti. Ancora oggi non è possibile dare una risposta univoca, soprattutto considerando che la questione è stata complicata dalle implicazioni politiche dell’uso del termine, soprattutto in periodo sovietico.
Questo concetto è stato dunque di fondamentale importanza negli studi culturali e storici della Russia, ma non sembra ci siano stati approfondimenti riguardo a cosa realmente significasse il termine nel periodo in cui veniva usato, nel Medioevo e nel periodo pre-petrino, né dagli studiosi occidentali né da quelli russi.
Lo scrupolo di esattezza terminologica di Rock porta a doverose precisazioni sull’uso dei termini e sulle definizioni: se per fede si intende un insieme di credenze e rituali associati ad esse che coinvolge un gruppo preciso, principalmente i Cristiani Ortodossi, abbiamo dall’altro lato la cultura popolare, ovvero la ritualistica e le tradizioni diffuse tra la popolazione ordinaria e il basso clero.

Per Ortodossia (правоверность o православие) si intende il giusto credo e si definisce identificando un credo contrapposto ritenuto non esatto. Una volta battezzati, la vita del fedele era regolata dai precetti dell’Ortodossia in ogni ambito della propria esistenza. Erano da considerarsi cristiani anche coloro che abitavano nelle isolate comunità rurali, che avevano ricevuto il battesimo ma conoscevano a malapena la Bibbia e la dottrina cristiana, dato che il fattore determinante sia per la Chiesa che per lo Stato consisteva nel battesimo.
Per lungo tempo si è ritenuto che a seguito dell’introduzione del Cristianesimo nel 988, la conversione non avesse portato a un cambio radicale nella coscienza della società durante tutto il corso della storia dell’Antica Russia. Non è possibile sapere quanti cittadini partecipassero volontariamente o meno ai rituali della Chiesa Cristiana a seguito del periodo dei battesimi forzati e il programma di educazione del regno di Vladimir, e nemmeno che livello di profondità avesse la fede personale: sembra però poco probabile che l’intera popolazione non abbia avuto esperienza di una trasformazione radicale.
Non sembra del tutto esatto operare una distinzione, come per lungo tempo si è ritenuto, tra “ortodossia vissuta” (popolare) e “ortodossia prescritta” (elitaria): la diversità locale e culturale non preclude il senso di appartenenza a un sentimento unitario.
Il problema è distinguere quali riti siano legittimi (ortodossi) e quali non legittimi (non-ortodossi). In questa contrapposizione si inserisce il dibattito sul doppio-credo.

La cristianità del popolo (народное христианство) e l’ortodossia quotidiana (бытовое православие) non erano in genere ostacolate o sanzionate dalla Chiesa: alcuni elementi di credenza popolare sono stati accettati dalla Chiesa Ortodossa Russa (come la venerazione dei santi su scala locale) e altri vietati, come il rituale di posizionare la placenta sull’altare come buon auspicio.
Con non-ortodossia popolare si intendono gli elementi della fede del popolo che non sono stati accolti dalla chiesa, che rientrano generalmente sotto il termine di superstizione (суеверие).

DVOEVERIE IN EPOCA MODERNA, TRA ROMANTICISMO ED ERA SOVIETICA

L’uso del concetto del doppio-credo in ambito accademico, ovvero di preservazione degli elementi pagani all’interno della fede cristiana nella mentalità della narod Russa, sembra coincidere temporalmente con il periodo del tardo Settecento – primo Ottocento, in concomitanza con il crescente interesse per il folklore tipico del periodo romantico: il mito che il popolo, non contaminato dalle idee moderne e illuminate, conservasse un sentimento religioso e culturale che risaliva alle radici pre-cristiane ebbe un forte impatto. Questa corrente di pensiero portò a credere che attraverso l’analisi e lo studio dei rituali tradizionali fosse possibile ricostruire il credo precedente alla cristianizzazione.

L’esistenza del doppio-credo in Russia è comprovata dai testi di epoca medievale, prove archeologiche, ricerche sia etnografiche che di folklore, ma gli studi si sono basati su riferimenti ai sermoni medievali che sono stati portati fuori contesto o fraintesi.
Un’interessante caratteristica del dibattito su dvoeverie è quindi il fatto che le opinioni sono state influenzate dalle ideologie dei contributori.

Musin , in un articolo del 1991 a proposito del problema del doppio credo, spiega che nell’approccio sovietico la sopravvivenza pagana non sarebbe altro che la prova della resistenza attiva alla cristianità oppressiva e patriarcale da parte della popolazione: classi dominanti che imposero la Cristianità forzatamente alla popolazione, finendo per diventare un sintomo della lotta di classe. Dvoeverie diventava dunque una ribellione contro l’oppressore, ovvero la Chiesa: le persone erano solo nominalmente cristiani, mantenendo segretamente pratiche pre-cristiane.
In quanto concetto anti-clericale, dunque, dvoeverie era conveniente nella propaganda ateista sovietica.
Il dibattito sul dvoeverie proseguì sia in ambienti accademici anglofoni (in particolare Levin e Chulos), durante la glasnost’ e nel periodo post-sovietico (Chernetsov, Turilov, Musin, Darkevich, Ivakhnenko, Živov, Petrukin). Durante il periodo post-sovietico, infatti, crebbe l’interesse e l’ammirazione per la Chiesa Russa Ortodossa.
Tra gli studiosi occidentali che hanno trattato la questione, Eve Levin afferma che non sia possibile giudicare la cristianità medievale attraverso gli standard moderni. Con intenti analoghi a Stella Rock, l’autrice auspica una riconsiderazione del termine e un ritorno all’origine epurando il significato dalle connotazioni peggiorative. L’autrice critica l’uso di dvoeverie come sinonimo di credo popolare e l’utilizzo improprio fatto dagli studiosi che l’hanno usato a sostegno di idee politiche (Sovietici) oppure coloro che non riescono a vedere oltre la dicotomia popolare/pagano – ufficiale/ortodosso. L’analisi di Levin è quindi efficace e può essere vista come un primo tentativo di riconsiderare il termine.

Le conclusioni di Stella Rock fanno emergere che quello inerente al dvoeverie è un concetto particolarmente significativo nella storia culturale della Russia, dato che, potenzialmente, offre una visione della cultura spirituale del periodo: tuttavia, se lo strumento che abbiamo per cercare di comprendere è danneggiato da una sbagliata interpretazione moderna della parola, lo studio del periodo rischia di essere male interpretato.
Esiste una difficoltà nello sviluppare una terminologia adatta a tutte le situazioni perché, anche se esistono coincidenze, le varietà di occorrenza sono troppe: qualunque termine si usi (sincretismo, doppio credo, sopravvivenza di elementi pagani, superstizione, cristianità folklorizzata) il rischio è che sia contaminato da elementi ideologici che potrebbero portare a errori concettuali.
La validità del termine dvoeverie così come è stato impiegato dalla metà dell’Ottocento è stata contestata in queste decadi. L’uso medievale, documentato da prove testuali, sembra smentire il significato che gli è stato dato a posteriori. Stella Rock ha identificato diciotto usi della parola o dei suoi derivati lessicali, ma in nessun caso essere in due fedi significa che il credente presti fede simultaneamente o alternativamente a due religioni, e in certi casi l’uso non è nemmeno riferito a contesti religiosi. Il significato sembra essere “mancanza di un’opinione ben precisa”, e quelli a cui veniva indirizzato questo errore di pensiero erano principalmente gli eretici o i fedeli di altre religioni, ma mai i pagani.

1.G. GHINI, Dvoeverie: bicredenza o cristianizzazione? Conversione e religiosità popolare nella Rus’ antica, in «Quaderni medievali» 37, 1994, p. 61-82.

2. Secondo Uspenskij, la tendenza a sostituire un comportamento e un atteggiamento con il suo esatto opposto sarebbe un atteggiamento culturale tipico della Russia antica, chiamato antipovedenje (comportamento invertito). “ Антиповедение, т. е. обратное, перевернутое, опрокинутое поведение — иными словами, поведение наоборот, — исключительно характерно для культуры Древней Руси, как и вообще для иерархической и средневековой культуры. […] замена тех или иных регламентированных норм на их противоположность.” (Успенский, Б. А. “Антиповедение в культуре древней Руси.” Проблемы изучения культурного наследия. М (1985): 326-336.)

 

BIBLIOGRAFIA

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di Camilla Azzoni

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