Al cor gentil rempaira sempre amore – Guido Guinizelli e lo zenit linguistico dello stilnovo

Al cor gentil rempaira sempre amore – Guido Guinizelli e lo zenit linguistico dello stilnovo

Opera cardine dello stilnovismo, manifesto di un nuovo motivo letterario, fonte d’ispirazione per autori del calibro di Dante Alighieri e di Guido Cavalcanti e di Cino da Pistoia – quindi tassello fondamentale di quel percorso che porterà dalle singole lingue vernacolari alla definizione di un idioma italico che vede, a detta quasi unanime da parte degli studiosi, in Dante il padre fondatore – “Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizelli è una poesia ancor oggi tra le più studiate sia in ambito scolastico che accademico. Datata XIII secolo, la canzone è strutturata in sei stanze da dieci versi ed è ricchissima di figure retoriche (similitudini, anafore, anteposizioni, chiasmi, allitterazioni) e francesismi. Dal punto di vista tematico, Guinizelli fa suoi i concetti dell’amor cortese tipico della poesia provenzale antica, rinnovandoli e oltrepassandoli: la concentrazione oltrepassa la sofferenza dell’innamorato e giunge all’esaltazione dell’amata e alle sue doti ultraterrene. La donna è quindi una figura angelicale, posta su un piano oltre-materiale e superiore, e solo attraverso la sublimazione del sentimento amoroso l’uomo può arrivare a Dio. A questo modello, che sarà poi ripreso da Dante tramite la figura di Beatrice intesa come guida attraverso il Paradiso, fa da contraltare l’esaltazione della gentilezza, unico strumento in grado di conferire nobiltà all’uomo. Tali stilemi, che saranno poi riproposti dai successivi stilnovisti, non solo evidenziano un nuovo fermento sociale e intellettuale ma vengono messi al servizio di una poetica che s’eleva da se stessa, che in un certo modo oltrepassa se stessa assurgendo a compendio filosofico e teologico. Questi fattori evidenziano l’importanza di “Al cor gentil rempaira sempre amore” – che per questo abbiamo scelto di proporvi – nel contesto della storia delle lingue romanze e di quei passaggi fondamentali che hanno portato all’elevazione del carattere qualitativo di quel volgare che s’è poi definito come idioma italico. 

AL COR GENTIL REMPAIRA SEMPRE AMORE

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza.

                                                                                                       a cura di Marco Marra

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