Figlio dell’uomo – sulla storicità di Gesù di Nazareth. Parte seconda.

Figlio dell’uomo – sulla storicità di Gesù di Nazareth. Parte seconda.

FONTI APOCRIFE

Fare ordine nell’enorme quantità di scritti apocrifi riconducibili al giudaismo e al cristianesimo non è impresa da poco. In primis è fondamentale dire che le opere apocrife il più delle volte sono state esclusa dal canone o perché troppo posteriori nel tempo rispetto ai fatti raccontati o perché il contenuto – spesso enigmatico o difficilmente verificabile – avrebbe messo la sorgente chiesa primitiva in una posizione scomoda. Tenendo bene il focus allo scopo della nostra disamina, ci concentreremo su determinati scritti soffermandoci in particolar modo su alcuni tra i meno citati quando si esaminano le fonti relative alla storicità di Gesù. È importante dire sin da subito che non abbiamo notizie di fonti primarie né secondarie che neghino l’esistenza umana del profeta Gesù e che anche gli scritti redatti dagli oppositori del cristianesimo non spingono verso tale congettura. D’altro canto, esistono opere che raccontano di un Gesù diverso – a seconda dei casi irascibile, vendicativo, ridente, ingannatore, stregone – ma tali trattazioni sono in larga parte ritenute opere scritte per fini apologetici contro-cristiani e in ogni caso paiono addirittura confermare la capacità del Nazareno di compiere azioni straordinarie. Nel Vangelo dell’infanzia di Tommaso – scritto in greco e siriaco pseudoepigrafo attribuito all’apostolo Tommaso e databile intorno al II secolo – viene descritta la vita pre-ministeriale di Gesù e la sua tendenza all’utilizzo di poteri taumaturgici per capriccio e a scopo personale, una visione che rimanda per certi versi al Gesù stregone citato nel Talmud babilonese, sul quale torneremo più avanti.

Tra i testi più interessanti da citare, ai fini della nostra ricerca, c’è senza dubbio un testo noto comunemente come Atti di Pilato. Si tratta, come suggerisce il nome, di una serie di scritti probabilmente sottoposti a diverse redazioni e attribuiti per ragioni filologiche e stilistiche ad autori diversi. Il testo, strettamente correlato al più noto Vangelo di Nicodemo, c’è prevenuto in greco e le sue sezioni più antiche sono riconducibili al II secolo mentre altre sembrano essere frutto di elaborazioni successive. Ma perché abbiamo scelto di parlare di quest’opera? La ragione è presto detta: l’autore del testo riferisce di essersi basato su atti ufficiali conservati presso il pretorio di Gerusalemme che testimonierebbero, dunque, in via primaria l’avvenimento del processo a Gesù. C’è da dire che, sebbene alcuni passaggi appaiano fortemente influenzati da una ragione apologetica, la sezione nota come Resoconti di Pilato – presentata come un documento destinato all’imperatore Claudio da parte dello stesso prefetto – rivela una certa conoscenza formale del modo di compilazione dei rapporti ufficiali che non ci permette di escludere a priori l’effettiva derivazione da atti ufficiali. Atti ufficiali che, a detta di molti studiosi, devono essere esistiti per forza in quanto la burocrazia romana prevedeva la compilazione di documenti e formulari per ogni processo. Riguardo la storicità dello stesso Ponzio Pilato c’è poco da dire in quanto sussistono fonti indipendenti – da Giuseppe Flavio a Tacito – che ne parlano, senza dimenticare le evidenze archeologiche1 e gli studi antroponomastici che legano il suo nomen a un’origine osco-sannita. Discorso simile a quello fatto per gli Atti è da farsi con altri apocrifi del Ciclo di Pilato – ad esempio le Lettere di Pilato a Tiberio o l’Anafora di Pilato o la Sentenza di Pilato – nel senso che, pur trattandosi di rimaneggiamenti di testi precedenti e mostrando talvolta un uso incerto del siriaco e del greco e del latino, non possiamo escludere la loro derivazione da testi più antichi assimilabili a fonti primarie.

Io Anania, ufficiale pretoriano, venuto a conoscenza attraverso le scritture del nostro Signore Gesù Cristo […] ho fatto ricerca degli Atti scritti in quell’epoca e che i Giudei stilarono sotto Ponzio Pilato.
Prologo al testo greco A, Atti di Pilato

La datazione di quasi tutti gli apocrifi è da ritenersi successiva rispetto a quella dei canonici e ciò è assimilabile alle motivazioni che hanno spinto la chiesa dell’epoca a non riconoscerli. Tuttavia, il discorso fatto per gli Atti di Pilato è da ottemperare anche in merito agli altri apocrifi che, nella maggior parte dei casi, sono elaborazioni o enunciazioni di racconti orali o tradizioni di matrice precedente e che ci raccontano del fermento e degli usi delle chiese dei primi secoli. In quest’ottica gli apocrifi si rivelano utili, se non ai fini di una delineazione certa della storicità di Gesù, quantomeno a dipanare i dubbi riguardo lo stato d’animo e il pensiero delle varie confessioni del culto delle origini. C’è da dire però che alcuni testi destano particolare interesse in quanto ci dicono qualcosa sul folclore legato al cristianesimo primitivo e sulle storie che circolavano riguardo la figura del messia. Abbiamo già fatto cenno ai Vangeli dell’infanzia, scritti che vanno a coprire il vuoto dei cosiddetti anni sconosciuti2, ossia il periodo non raccontato né nei sinottici né in Giovanni. In questi testi si parla di un Gesù sì talvolta capriccioso e irruento ma già in grado di discutere con i dottori e già sostanzialmente consapevole delle proprie capacità. Moltissimi punti fermi della tradizione popolare e del folclore religioso sono tra l’altro legati alle ricostruzioni presenti negli apocrifi delle vite di Maria e di Giuseppe il falegname e ciò mette in evidenza l’impatto che questi testi hanno ancora sulla comunità cristiana. Discorso diverso è da farsi sui testi di matrice gnostica e quindi basati su conoscenze di origine esoterica o iniziatica. In gran parte di questi testi la figura di Gesù è vista attraverso una lente ora emanazionista ora docetistica derivante dal pensiero di Simon Mago e Menandro, personaggio – il primo – citato anche negli Atti degli apostoli come occultista e stregone. Tra i più antichi testi gnostici (lo gnosticismo è una dottrina complessa ed elaborata che meriterebbe una trattazione a sé stante) s’annovera il Vangelo greco degli Egiziani, composto in lingua greca e datato da taluni studiosi intorno alla metà del primo secolo; anche se certi aspetti filologici e contenutistici portano a ritenerlo legato a tradizioni precedenti, probabilmente alla stessa fonte alla quale hanno attinto i redattori dei canonici. La scelta di dire qualcosa riguardo questo Vangelo è presto detta: in primis è stato oggetto di studio da parte di Clemente Alessandrino, Ippolito di Roma, Epifanio da Costantinopoli e ciò ne conferisce una certa autorevolezza e ne suggerisce una qualche ragione di particolare importanza, in secundis perché certe assonanze con i detti della Prima lettera ai Corinzi e con l’altro Vangelo degli Egiziani lasciano intendere una composizione annodata a idee e tradizioni emergenti nei primissimi anni dell’era post-apostolica. Tra queste idee emerge con prepotenza quella dell’ascetismo sessuale, il che ha portato diversi studiosi a collegare ancora una volta Gesù alla setta degli esseni. Eremiti, cenobiti, monaci, gli esseni – lo abbiamo accennato nella prima parte – rappresentavano uno tra i gruppi semitici più particolari proprio a causa delle loro usanze, del loro estenuante ritualismo, del loro approccio iniziatico nei confronti della conoscenza. Le cose che sappiamo riguardo gli esseni le sappiamo grazie non solo ai contributi di Plinio il Vecchio, Filone d’Alessandria e Giuseppe Flavio ma anche e soprattutto grazie alla scoperta dei manoscritti del Mar Morto, avvenuta nel 1947.

Mettendo da parte dispute tra studiosi e le speculazioni riguardo alcuni aspetti della comunità essena, risulta interessante constatare come attorno a questo gruppo si sia creata una fitta assemblea di suggestioni, ben più fitta rispetto a quella relativa agli studi sulle altre tribù ebraiche. Ci sono esperti, ad esempio, che vedono negli esseni i diretti prosecutori del percorso intrapreso da Mosè, custodendo di fatto una sapienza segreta che il noto profeta veterotestamentario avrebbe acquisito dapprima in Egitto e successivamente attraverso il suo legame con Elohim3. Altri, invece, individuano in certe loro usanze e credenze gli echi del pitagorismo ellenico nonché della filosofia zoroastriana. Altri ancora si spingono oltre, attribuendo alla comunità essena la detenzione di conoscenze a noi pervenute solo parzialmente, ma questa è un’altra storia. Ritornando al collegamento tra Gesù e la suddetta tribù, taluni suggeriscono che la questione del celibato non sia che un tassello minuscolo di un legame che andrebbe oltre e che definirebbe lo stesso Re dei Re come membro della comunità essena. Tale teoria, emersa nel corso dell’illuminismo, è ancora oggetto di dibattito e si staglia parallelamente all’idea di una vicinanza tra il pensiero di Giovanni Battista e il credo esseno. Il cugino nonché annunciatore del Cristo viene ritenuto da molti come consacrato a Dio attraverso il nazireato4 e tale spunto ha portato a diverse riflessioni sulle origini della figura gesuana, soprattutto in considerazione dell’assimilazione dei nazareni come sottogruppo esseno operata dal padre della chiesa Epifanio di Costanza di Cipro. Tale idea fa perno sull’idea che Gesù Nazareno non starebbe a significare Gesù della città di Nazareth bensì Gesù consacrato al voto di nazireato. Il nazireato è la dedicazione solenne dell’individuo ebreo a Dio con la conseguente scelta di attenersi a rigidi precetti, ad esempio al divieto di bere vino. I sostenitori dell’ipotesi di Gesù nazireo fanno leva sulla mancanza di documenti del primo secolo relativi alla città di Nazareth (nominata per la prima volta verso il quarto secolo) nonché sulle analisi etimologiche riguardanti la terminologia aramaica. La figura di Gesù sarebbe stata dunque ripulita di quelle connotazioni che lo avrebbero assimilato eccessivamente al messianismo ebraico e tra queste operazioni sarebbe risultata necessaria quella relativa al non accostamento al nazireato5. In realtà altri studi etimologici nonché certune analisi relative al modo di operare di Gesù entrerebbero in contrasto con questa ipotesi e legherebbero l’immagine del profeta a quella farisea o a un più generico e impreciso adempimento al messianismo ebraico. Purtroppo, l’unica fonte che avrebbe potuto aiutarci a dipanare certi dubbi sarebbe il Vangelo dei nazareni, opera perduta di cui sappiamo l’esistenza unicamente grazie a sporadiche citazioni operate dai padri della Chiesa che sembrano far risalire il testo a una versione primitiva del Vangelo secondo Matteo, come suggerisce Papia attraverso la citazione da Eusebio di Cesarea.

Con questa riflessione ci avviamo alla conclusione dell’excursus tra i vangeli apocrifi sottolineando, ancora una volta, come le singole suggestioni che proponiamo non indichino di per sé nulla ma assumono significato solo se prese in esame sotto la lente d’ingrandimento della molteplice attestazione. Sugli stessi apocrifi, inoltre, ci sarebbe da dire tantissimo altro ma, come annunciato in premessa, lo scopo di questo articolo è sintetizzare. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo agli eccellenti studi compiuti da accademici e esegeti e biblisti, tra i quali citiamo Luigi Moraldi e Bart Ehrman e Marta Sordi, oltreché altri.

FONTI EXTRA BIBLICHE E NON CRISTIANE

Come già riferito in merito agli apocrifi – tra questi non ci siamo soffermati, ad esempio, sull’interessante Vangelo di Tommaso, datato tra il 60 d.C. e il 140 d.C., dunque molto prossimo ai fatti – per ragioni di necessità ci siamo trovati a dover operare una selezione. Tale selezione, lo ribadiamo, non è adoperata in termini qualitativi ma di suggestione lo stesso vale in sostanza anche per le fonti extra bibliche e non cristiane. Esse destano particolare interesse in quanto sarebbero avulse da abbellimenti teologici giacché non legate all’ambiente cristiano. Le fonti, sostanzialmente, possono essere divise in ebraiche, greche e romane. C’è da dire, e questo è di per sé molto importante, che non esiste alcun testo ritenuto autentico che affermi l’inesistenza di Gesù. Anzi, come già visto per gli apocrifi, esistono molti testi che ne propongono un’immagine atipica, finanche misteriosa, ma tali menzioni non fanno che confermare sia la sua esistenza sia l’agitazione e lo scalpore che s’era creato nell’ambiente dell’epoca. D’altronde, se tra gli antichi fosse circolata la voce dell’inesistenza di Gesù, quale arma migliore avrebbero avuto i detrattori del cristianesimo per distruggere la nascente religione? Negli ambienti miticisti vengono spesso sottolineate le similitudini tra il cristianesimo e culti precedenti (mitraismo, venerazione del faraone, culti solari, etc.) e sebbene queste assonanze – che non sono oggetto della nostra analisi – siano molto interessanti e meritino d’essere vagliate, esse sembrano incidere più sulla storia del cristianesimo che sull’ipotesi della storicità di Gesù. Possono, questo sì, aiutarci a comprendere parte del complesso cultuale e di credenze che s’è successivamente costruito attorno alla sua figura. Ma questa è un’altra storia.

Il testo più spesso citato quando si parla di fonti extra bibliche è Antichità giudaiche, opera dello storico ebreo romano Giuseppe Flavio che racconta la vicenda degli israeliti. Nel testo Gesù è citato in alcuni passaggi: quelli in cui si parla della morte di Giovanni Battista e di Giacomo il Giusto e nel Testimonium Flavianum. Mentre sull’autenticità dei primi non sembrano esserci dubbi, verso il Testimonium sono sorti sospetti d’interpolazione o comunque di una manipolazione volta a esaltare la figura di Gesù detto il Cristo. In ogni caso, se anche il passo fosse frutto d’un inserimento successivo, resta l’attestazione degli altri.

Desta particolare interesse, inoltre, il Toledot Yesu, una composizione di matrice ebraica che racconta della vita di Gesù. Quest’opera è di particolare interesse perché presenta le vicende del Nazareno con toni diffamatori e spregiudicati rivelando però non solo notevoli assonanze con le cronache evangeliche ma anche con certi racconti della tradizione orale che poi confluiranno nella stesura di alcuni apocrifi. Ad esempio, Gesù sarebbe nato effettivamente a Betlemme, avrebbe discusso con i dottori presso il tempio, avrebbe avuto la capacità di compiere opere prodigiose, qui però presentate come frutto di stregoneria. Gesù, secondo il Toledot, sarebbe figlio sì di Maria e Giuseppe ma generato dal rapporto adultero tra la donna e il soldato romano Giovanni Pantera. Sebbene questo testo ebraico sia da considerarsi una fonte non primaria, è interessante constatare la presunta storicità del personaggio del legionario Pantera, la cui tomba sarebbe stata identificata nel 1859 a Bingen, in Germania, e di cui avrebbero parlato sia Origene che Celso. Secondo alcuni studiosi, essendo frutto di un adulterio, Gesù avrebbe potuto sposare solo una donna straniera, individuata in Maria Maddalena, e lo avrebbe effettivamente fatto, dando origine a una linea di sangue diretta. Tale ipotesi, che fa leva su alcuni riferimenti apocrifi6 ad un legame profondo tra il Nazareno e la Maddalena, non ha ancora oggi trovato conferme certe e resta nell’ambito della speculazione. Tuttavia, c’è da considerare ancora una volta l’utilità di ognuno di questi studi, necessari a ridurre il diametro d’errore attorno alle tesi che ricostruiscono la vita di Gesù e a dipanare, una volta per tutte, il dubbio sulla sua storicità, al netto dei dettagli relativi al suo ministero.

Altra interessante citazione di Gesù è quella contenuta nel Talmud Babilonese, opera compilata dai rabbini mesopotamici tra il III e il V secolo e tenuta in gran conto dalla comunità ebraica. In questo insieme di scritti Gesù viene presentato come uno stregone e un ingannatore. Egli sarebbe di fatto in grado di compiere prodigi, la differenza è nell’attribuzione di questo potere, derivante – come già accennato – da forze maligne.

Non mancano poi opere attinenti al mondo greco antico che citano Gesù. Il filosofo Luciano di Samosata, ad esempio, fa esplicito riferimento nel suo Sulla morte di Peregrino – opera che riporta l’episodio del suicidio del cinico Peregrino Proteo – ai cristiani e al loro primo comandante. Altro passo interessante è poi quello del platonico e/o epicureo Celso; questi in un passo del suo Discorso veritiero parla di Gesù riferendo del suo viaggio in Egitto e delle conoscenze occulte che avrebbe appreso all’ombra delle piramidi e che gli avrebbero permesso di compiere miracoli e prodigi.

A prescindere dall’affidabilità delle fonti resta curioso constatare come anche i pensatori non cristiani non si limitino a non negare l’esistenza di Gesù ma anche la sua capacità di compiere opere straordinarie. La differenza, lo ribadiamo, sta solo nella radice di tali capacità. In sostanza, le opere tenute in maggior conto dagli studiosi sulla base della prossimità delle fonti sembrano convergere verso l’idea che Gesù sia esistito e abbia compiuto opere incredibili alle quali i suoi contemporanei non riuscivano a dare una spiegazione. In questo senso, anche il romano Sesto Giulio Africano – progettatore della biblioteca imperiale voluta dall’imperatore Alessandro Severo – non fa eccezione. Egli racconta, riportando un passo dello storico greco Tallo, dell’eclissi (o oscuramento) del sole raccontata anche nei sinottici7 e che si sarebbe verificata durante la crocifissione. Sono tantissime, tra l’altro, le opere romane che riportano aneddoti sulla vita di Gesù, definito il più delle volte come Cristo. Da Svetonio a Plinio il Giovane, diversi frammenti raccontano del sorgere delle prime comunità cristiane, tutte basate sugli insegnamenti di un certo Cristo. Di particolare rilevanza è la nominazione presente negli Annales di Tacito, fra gli autori considerati di maggiore spessore nell’intera storiografia del mondo antico, in cui si dice che un certo Cristo era stato giustiziato sotto Ponzio Pilato – ulteriore conferma della veridicità quantomeno della cornice del processo a Gesù – e che l’imperatore Nerone ora perseguitava i suoi seguaci. Ci sarebbero poi delle interessanti riflessioni da fare proprio riguardo le origini della persecuzione verso i cristiani. Tertulliano e Eusebio di Cesarea fanno risalire la causa primaria di queste al tentativo di Tiberio di far riconoscere Cristo come membro del pantheon divino romano. Era usanza, in pochi lo sanno, da parte dei romani incorporare nella cerchia delle venerazioni gli dèi venerati dai popoli conquistati e il messia giudaico non avrebbe fatto eccezione. La proposta di Tiberio però, secondo quanto riportato, sarebbe stata respinta.

Ci sono poi opere di dubbia autenticità, ad esempio la Lettera di Publio Lentulo che, pur essendo ritenuta dalla maggior parte degli storici come compilazioni d’epoca posteriore, potrebbe essere stata stesa sulla base di frammenti o tradizioni precedenti, a noi non pervenute o pervenute parzialmente. Secondo molteplici studi filologici è inoltre possibile riscontrare una notevole assonanza tra la storia di Gesù nei Vangeli e alcune opere di scrittori greci e latini. Alcuni, ad esempio, hanno constatato delle similitudini notevoli tra il Satyricon di Petronio e il Vangelo secondo Marco. Se tali parallelismi trovassero conferma sarebbe interessante constatare come la datazione del Satyricon (circa 60 d.C.) confermerebbe se non anteporrebbe la datazione del Vangelo, rendendolo ancora più vicino ai fatti della vita di Gesù. Sono tante le opere che attingono dalla tradizione cristiana, dalle Metamorfosi di Apuleio al Abrocome e Anzia di Senofonte Efesio, passando per gli scritti del romanziere Caritone. A prescindere dall’utilità diretta sulla ricerca della storicità di Gesù, questa breve divagazione torna utile per comprendere come già nel primo secolo la comunità cristiana fosse riuscita in qualche modo a emergere e a diffondere rapidamente il suo credo, facendo qualcosa che prima non era mai stato fatto nella stessa maniera: esportare il proprio Dio, raccontarne le gesta a popoli stranieri, cercare di convertire questi popoli non con la forza ma con la potenza delle parole, del racconto, della storia. In altri termini, l’evangelizzazione.

FONTI ARCHEOLOGICHE

Abbiamo già fatto cenno a certune prove archeologiche che confermerebbero – o comunque racconterebbero una certa verosimiglianza contestuale di – eventi, fatti o esistenze di alcuni personaggi storici. Abbiamo fatto cenno all’Iscrizione di Pilato e alla tomba di Pantera ma ci sono tantissime altre scoperte archeologiche da prendere in esame. È fondamentale dire che, come per i passaggi già esaminati, faremo una cernita basata su suggestioni personali e rimarchiamo l’invito al lettore ad approfondire ulteriormente, perché c’è tanto, tantissimo altro. Il tema dell’archeologia biblica, inoltre, non riguarda solo i fatti e gli avvenimenti del Nuovo Testamento ma anche quelli del Vecchio. Sono state portate alla luce, giusto per citarne alcune, le mura di Gerico, il tunnel di Ezechia o il pozzo di Siloam. Sebbene ci soffermeremo d’ora innanzi sull’archeologia riguardante il Nuovo Testamento crediamo sia opportuno fare una brevissima riflessione riguardo un fatto apparentemente slegato dalla questione: la scoperta della città di Troia. Sino alla seconda metà dell’‘800 Troia era ritenuta all’unanimità un’invenzione di Omero, una città immaginaria creata dalla mente dello scrittore per dare una connotazione spaziale e mitologica ai poemi dell’Iliade e dell’Odissea. Intorno al 1870 l’appassionato Heinrich Schliemann scoprì resti archeologici importanti nei pressi della collina di Hissarlik, in Anatolia. Tali resti sono stati immediatamente correlati a Troia e oggi gli studiosi reputano, all’unanimità e quindi all’esatto opposto di quanto fosse ritenuto un paio di secoli fa, l’esistenza effettiva della città un fatto storico. La vicenda di Schliemann e della scoperta della mitica città, teatro della guerra descritta nei poemi omerici e in diverse opere ritenute minori come le Etiopide o i Canti Ciprii, al di là della sua importanza storica a sé stante ha insita una morale ben chiara: non bisogna mai approcciarsi ai testi antichi con fare aprioristico. È quindi necessario mantenere una mentalità aperta, analizzare le scoperte, incrociare i dati emersi dalla ricerca archeologica con i testi pervenutici, e contestualizzare il tutto al fine di elaborare un’ipotesi ragionevole, quantomeno in attesa di ulteriori conferme.

La maggior parte delle scoperte archeologiche riguardanti il Nuovo Testamento è particolarmente interessante in quanto, rivelando la verità storica riguardo i luoghi citati nei Vangeli, ci aiuta a circoscrivere la cornice dei fatti e a contestualizzare gli stessi, veicolando una maggiore efficacia di ragionamento e permettendoci di ottimizzare l’applicazione del metodo storico-critico. Reperti di vario genere, inoltre, ci consentono di confermare l’esistenza di diversi personaggi: dal già citato Pilato sino a Simone di Cirene, passando per il sommo sacerdote Caifa. Correlata direttamente alla figura gesuana c’è l’Iscrizione di Nazareth, una lapide riportante un editto o un rescritto di dignità imperiale che sancisce la punizione per la violazione dei sepolcri. L’autenticità del reperto è accettata sin dagli anni ’30 del secolo scorso da larga parte degli esperti sebbene restino alcuni dubbi e il suo utilizzo come prova della resurrezione di Gesù paia, a un occhio critico, una forzatura in quanto confermerebbe sì il ritrovamento della tomba vuota ma non negherebbe l’ipotesi di un eventuale trafugamento del corpo da parte dei discepoli o di altri. Il Vangelo secondo Giovanni colloca la guarigione miracolosa operata da Gesù nei confronti di un paralitico presso la Piscina di Betzaeta, i cui resti sono stati ritrovati presso la città vecchia di Gerusalemme alla fine dell’’800. Abbiamo già fatto cenno alla città di Nazareth e alla diatriba relativa all’origine del termine Nazareno ma è bene constatare come recenti evidenze archeologiche stiano lasciando emergere attestazioni della presenza di abitati e comunità sufficientemente antiche da rendere plausibile la tesi della tradizione collocante gran parte dell’infanzia di Gesù presso il villaggio della Galilea. La regione ospita anche un altro importante centro, Cafarnao, che sarebbe il luogo dove avrebbe avuto inizio la predicazione del messia cristiano. La scoperta, venuta alla luce tramite gli scavi archeologici operati nella prima metà dell’’800, ha permesso l’individuazione di una sinagoga risalente al II secolo e di un’abitazione identificata da équipe guidata da italiani come possibile casa di Simon Pietro, primo tra gli apostoli secondo la tesi del primato petrino.

Più ci s’addentra nella questione archeologica e più ci si rende conto che anche qui esiste una miriade di materiali e di disquisizioni e studi compiuti sugli stessi e non è facile orientarsi dato che ogni singolo elemento meriterebbe ricerche a sé stanti. Allo stesso tempo però l’indagine riguardo ognuno tra questi non può prescindere dall’incrocio dei dati e dall’incastro con altre ricerche archeologiche e dal setaccio delle fonti testuali più o meno note. Andrebbe poi aggiunto un ulteriore piano d’investigazione: quello del folclore. Nel corso dei secoli sono sorte storie e tradizioni che si sono affiancate e che talvolta hanno addirittura soppiantato i racconti originari riguardo non solo i santi e i prosecutori del cristianesimo ma anche riguardo gli apostoli, i personaggi biblici, Maria, lo stesso Gesù. È il caso, ad esempio, del centurione Longino – il soldato che avrebbe trafitto, con la propria lancia, il costato del Re dei Re, ormai crocifisso, per constatarne la morte – che sarebbe, secondo la tradizione, sepolto presso la basilica di Sant’Andrea a Mantova. Il nome del soldato non è presente nei canonici ma appare nei succitati Atti di Pilato – che, come abbiamo esposto, una certa tesi vuole siano stati redatti sulla base di documenti ufficiali riguardanti la crocifissione – mentre la maggior parte delle altre informazioni che abbiamo trae origine dalla Historia Ecclesiastica di Mantova, datata 1612 e attribuita a Ippolito Donesomondi. La vicenda di Longino è piuttosto famosa soprattutto in correlazione alle ricerche e alle teorie riguardanti la lancia con la quale avrebbe trafitto Gesù, comunemente nota come Lancia del Destino. Il più antico riferimento alla lancia è risalente al 570 d.C.8 ma è nel basso medioevo che si sono diffuse la maggior parte delle leggende legate a questo santissimo oggetto. Oggi a diverse reliquie è stata attribuita la pretesa d’essere la Lancia di Longino, dalla lancia sacra papale custodita a San Pietro in Vaticano, sino alla lancia sacra d’Antiochia armena d’Echmiadzin, passando per quella ch’è ritenuta il simbolo del sacro romano impero, conservata presso l’Hofburg di Vienna. Questo breve excursus riguardo la lancia di Longino rende bene l’idea del complesso universo riguardante le reliquie attribuite ai personaggi neotestamentari. Ne esistono centinaia, se non migliaia, e mentre talune di queste vengono presentate da certi come prove archeologiche e storiche, gli esami scientifici spesso e volentieri ne dimostrano un’età che smentisce tali ipotesi. Attribuire quindi un credito storico-scientifico a gran parte delle reliquie risulterebbe un’operazione controversa e per questo motivo non ci concentreremo più di tanto sull’argomento ma ci limiteremo a una brevissima panoramica riguardante alcune tra le più famose. Senza dubbio tra queste va citata la Sindone di Torino, un lenzuolo di lino sul quale è intinta l’immagine di un uomo martoriato e individuato da alcuni come il telo in cui fu avvolto il corpo di Gesù nel suo sepolcro. La Sindone è uno degli oggetti più studiati al mondo ma gli esami hanno dato esiti discordanti e spesso contraddittori. L’analisi al carbonio-14, condotta in maniera indipendente da tre diversi laboratori, ha determinato una datazione tardomedievale ma non mancano gli studiosi che criticano questi studi assumendo che i risultati siano dovuti alle contaminazioni susseguitisi negli anni. Discorso similare a quello della Sindone è possibile farlo quando si esaminano altre reliquie simili, ad esempio il Sudario di Oviedo o il Velo della Veronica, e data questa criticità preferiamo sospendere il giudizio in attesa di nuove ricerche e pubblicazioni a revisione paritaria. Diverso è però il discorso quando si parla dei luoghi legati al ministero e alla passione di Gesù: presso Gerusalemme è edificata la Basilica del Santo Sepolcro, tra le più importanti chiese cristiane del mondo in quanto costruita sul luogo di unzione, crocifissione, sepoltura e resurrezione di Cristo. La struttura, che ingloba sia la collina del Calvario (luogo della crocifissione) sia la grotta della deposizione, è situata nelle mura della città vecchia ed è meta di pellegrinaggio da ogni parte del mondo e da ogni tempo. Già Eusebio di Cesarea e Socrate Scolastico – rispettivamente a cavallo tra il terzo e il quinto secolo d.C. – raccontavano di pellegrini che si radunavano in preghiera attorno al luogo identificato come la tomba del Redentore e studi archeologici contemporanei hanno rivelato che, seppur senza una certezza cristallina, non c’è motivo per respingere l’autenticità del sito. Ad un’attenta analisi incrociata, inoltre, emerge una corrispondenza non indifferente tra i dettagli riportati nella Bibbia riguardo la localizzazione9 e gli studi toponomastici (l’allargamento delle mura operato da Erode il Grande) e archeologici (i graffiti e le incisioni paleocristiane presenti). Inoltre, il sepolcro è custodito all’interno dell’Edicola del Santo Sepolcro che la tradizione ha sempre datato attorno al 300-400 d.C. e recenti studi pubblicati su riviste a revisione paritaria hanno comprovato la datazione attribuendone la costruzione al volere dell’imperatore Costantino. È interessante constatare come, quando si prende in esame la Basilica del Santo Sepolcro e i luoghi ad esso correlati – appunto: il Calvario, la tomba, la pietra – le scoperte archeologiche e gli studi filologici incrociati con l’analisi dei testi canonici non lascino emergere alcuna contraddizione. Documenti del secondo secolo, ad esempio, fanno intendere che l’imperatore Adriano abbia, nel 135 d.C. al termine della terza guerra giudaica, fatto edificare dei templi pagani proprio sopra i luoghi legati alla passione di Cristo e questo lascia trasparire come, sin da tempi antichissimi, quello fosse identificato chiaramente come il luogo di sepoltura di Gesù. A differenza, inoltre, di quanto si possa dire per molte delle discusse reliquie cui abbiamo fatto cenno, nessuna ipotesi alternativa è mai stata considerata seriamente in ambito accademico. All’interno della Basilica è presente inoltre la Pietra dell’Unzione, il giaciglio10 ove il corpo di Cristo fu preparato per la sepoltura. Riguardo l’autenticità di questa reliquia – la cui presenza prepotente nell’iconografia della pittura sacra è molto interessante – non abbiamo trovato informazioni sufficienti e dunque ci limitiamo a constatare che la tradizione che la vuole come autentica è piuttosto antica e risulta anteriore al XII secolo, sebbene vi siano ipotesi di un suo ratto ad opera dei crociati.

Ci sarebbe da riflettere su molti altri siti – ad esempio la Basilica della Natività in Betlemme o la Basilica dell’Annunciazione in Nazareth o la tomba del Battista –, e su molte altre reliquie – il santissimo sangue o il sacro volto di Manoppello o il mitico Santo Graal –, ma ciò oltrepasserebbe l’obiettivo di sintesi che ci siamo prefigurati e aprirebbe spazi di discussione che esulano dal focus di questo articolo. Ci preme specificare quindi, in chiusura di questa parentesi, che l’archeologia è un metodo della ricerca storica e che, quando si tratta di un argomento tanto delicato e dibattuto come quello legato alla fede religiosa, solo l’intersecazione e l’incastro tra scoperte e fonti scritte può determinare, se non la verità, quantomeno la plausibilità di certe ipotesi. E noi, dopo aver dedicato il nostro tempo – prima ancora della stesura di questa disamina – alla lettura di innumerevoli articoli e testi al fine di operare la necessaria cernita, abbiamo, come è giusto che sia, tratto le nostre considerazioni.

CONCLUSIONI

Ci avviamo ora verso una conclusione ma è impossibile o sarebbe fuorviante farlo senza congiungere quanto emerso dagli studi e sinteticamente riportato sopra con alcune deduzioni logiche, anch’esse già esplicitate da esegeti e storici in trattazioni e/o articoli. Queste congiunzioni emergono dalla sistematizzazione delle scoperte e delle analisi e dal loro inserimento all’interno del contesto storico culturale ebraico romano di circa duemila anni fa. E portano a delle domande, più che a delle risposte. Ma forse porsi le domande giuste è forse più importante di trovare delle risposte. E forse porsi le domande giuste è l’unico modo per aprire la strada alla verità. In primis, sul ritrovamento della tomba vuota: perché, se il racconto evangelico fosse una storia costruita ad hoc, gli autori avrebbero inserito come testimoni le donne? Questa domanda, sulla quale ci siamo già soffermati e che al giorno d’oggi sembrerebbe priva di logica, assume una rilevanza particolare se inserita nel contesto giudaico dell’epoca in quanto, lo ribadiamo, nella società antica israelita la testimonianza delle donne non era tenuta in considerazione. Dunque, se il racconto evangelico non fosse quantomeno lontanamente ispirato da fatti reali, perché non inserire una testimonianza diversa, utile ad avvalorare la veridicità della storia secondo i dettami dell’epoca? Inoltre, se restiamo sull’analisi dei fatti evangelici collocandola nel contesto giudaico, emerge un fattore da non sottovalutare: la differenza mastodontica tra il messaggio di Gesù e le aspettative messianiche del popolo ebraico. Queste ultime volevano vedere nel messia un condottiero, un liberatore, un eroe. Le loro aspettative erano relative a questo mondo, al mondo materiale, all’oggi, non al regno dei cieli o alla vita dopo la vita. Gesù, inoltre, questionò il sabato11, mise in discussione – secondo certe interpretazioni – addirittura alcuni passaggi della legge mosaica. Questo poneva i suoi seguaci in soggezione rispetto ai sacerdoti e ai custodi delle antiche tradizioni ebraiche. E non è neanche l’unico elemento che avrebbe potuto mettere in cattiva luce i seguaci di Cristo di fronte ai detrattori. Basti pensare al battesimo di Gesù per mano di Giovanni Battista (se Gesù è Dio perché ha bisogno d’essere battezzato?), alla triplice negazione di Pietro (perché, se il racconto fosse una costruzione artificiale, inserire un’azione tanto imbarazzante da parte del futuro padre della chiesa romana?), al tradimento da parte di Giuda12, alla sconfitta di Gesù. Perché sì, la storia di Gesù è la storia di una sconfitta. È stato crocifisso, ha addirittura domandato al Padre il perché del suo abbandono, è stato imprigionato e umiliato. La narrazione del martirio del proprio Dio si pone per certi versi in discontinuità con l’intero Antico Testamento, che racconta dell’invincibilità di Iavhè e della salvezza del suo popolo. Possiamo davvero, in sostanza, parlare di abbellimento teologico dei Vangeli quando in questi il Dio cristiano viene schernito, deriso, addirittura sputato e preso a sassate, e infine sconfitto? È una domanda semplice ma la cui risposta necessiterebbe di andare oltre un semplice sì o no. Eppure, la domanda più enigmatica – a detta di molti – è quella riguardo il destino degli apostoli nonché dei gesuani dei primi secoli. Abbiamo prove insindacabili delle persecuzioni ordinate, tra gli altri, da Nerone contro i cristiani – anche a seguito del famoso incendio del 64 d.C. –, dunque: che vantaggio si aveva all’epoca nell’essere cristiano? Si veniva perseguitati, martoriati, imprigionati, mandati a morte, nel migliore dei casi messi ai margini della società. La deduzione che ne consegue, e con questa ci avviamo davvero a una conclusione, riguarda appunto gli apostoli. Dai resoconti storici generalmente ritenuti veritieri emerge che ognuno di essi ha dedicato la propria vita alla predicazione del cristianesimo, viaggiando per terre sconosciute e vivendo emarginato, esponendosi a derisioni e sofferenze e morendo, nella maggior parte dei casi, a seguito di indicibili torture. Eppure, ad oggi non si ha traccia neanche un singolo racconto in cui s’accenna a una ritrattazione delle convinzioni degli apostoli. Chiunque tra loro avrebbe potuto rinnegare il credo per aver salva la pelle ma – stando ai dati che abbiamo a disposizione – è ragionevole credere che nessuno lo abbia fatto. Questa constatazione, frutto delle deduzioni logiche che emergono al confronto coi fatti storici, ci dice qualcosa e questo qualcosa non può essere ignorato. Se la storicità di Gesù fosse una menzogna, essi sarebbero morti per una menzogna. Ma chi sarebbe disposto a morire per una menzogna?

Siamo giunti alle battute finali di questa trattazione e ci preme ringraziare il lettore giunto sino a qui. Ci auguriamo che questo articolo, come annunciato in premessa, possa essere uno spunto e una spinta ad approfondire gli argomenti citati e, perché no?, uno stimolo a guardare al nostro passato con uno sguardo meno aprioristico. D’altronde, se da un lato spesso la storia ci viene insegnata come fosse fatto certo, dall’altro più si va avanti con lo studio e più emerge quanto poco sappiamo del nostro passato. E quanto vacillino le nostre conoscenze di fronte alle enormi possibilità che affiorano dallo studio del nostro ieri. E il modo incredibile in cui, come ci insegna la vicenda di Troia, una scoperta possa capovolgere quanto veniva dato per assodato sino a poco tempo prima. Perché è sacrosanto cercare la verità. E la verità, a volte, spezza qualche certezza. 

Scio me nihil scire.
So di non sapere.
Platone, Apologia di Socrate, versione latina.


  

1 Oltreché al ritrovamento dell’anfiteatro romano di Cesarea, è interessante approfondire la questione riguardante le diverse rivendicazioni affastellatesi nel corso dei secoli e basate su leggende più o meno verificabili.
2 Nel tempo state avanzate anche ipotesi piuttosto anticonvenzionali. Alcune tra queste, correlate al ciclo arturiano e originate da certe tradizioni che individuano in Giuseppe d’Arimatea il custode del Graal, vorrebbero Gesù trascorrere un periodo in Britannia. Altre, di matrice ottocentesca, vedono Gesù trascorrere molti anni in India. Altre ancora parlano di un suo viaggio in Giappone e di un suo legame con le credenze scintoiste.
3 Termine che in ebraico biblico è generalmente collegato all’aspetto della divinità. Si tratta di una parola controversa la cui grammatica è sostanzialmente plurale.
4 Lc 7,33-34.
5 Alcuni studiosi avrebbero individuato la vera città natale in Gamala.
6 Nel Vangelo di Filippo, ad esempio, o nel più criptico Pistis Sophia, tra i più importanti testi di matrice gnostica.
7 Mc 15,33; Lc 23,44; Mt 27,45. 51-54.
8 La menzione è nell’Itinerarium Antonini, attribuito per lungo tempo a Antonino di Piacenza.
9 Ebrei 13,12; Lc 23, 33-34.
10 Gv 19, 38-42.
11 Mc 2,27.

A cura di Marco Marra

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