Vita di Santa Pelagia meretrice

Vita di Santa Pelagia meretrice

“Vitae Sanctea Pelagiae meretricis” racconta la storia di Pelagia, santa vissuta intorno al III secolo d.C. ad Antiochia sull’Oronte (o Antiochia di Siria). Il testo greco che narra la leggenda della santa, attribuito al diacono Giacomo e pervenutoci tramite la traduzione di Eustochio, è stato tradotto in numerose lingue nel doppio volume agiografico curato da Pierre Petitmengin e altri, dal titolo “Pèlagie la pènitente. Mètamorphose d’une lègende” (Année, Parigi, 1982). Alcune antiche versioni del brano greco risalgono al V secolo d.C., mentre ulteriori riferimenti alla vita di Pelagia sono apparse intorno alla seconda metà del IV secolo d.C.; tra questi annoveriamo il resoconto storico “Itinerarium Antonini Placentini”, testo che narra il lungo viaggio svolto in Terrasanta da parte di un anonimo pellegrino, che affermava di aver visitato la cella eremitica di Pelagia durante il suo soggiorno a Gerusalemme; oppure un breve testo presente negli “Apophthegmata Patrum”, i “Detti e fatti dei padri del deserto”, in cui l’asceta Pambone reagisce alla vista di un’attrice. Nel mito, Pelagia era tra le più importanti attrici di mimo e meretrice di Antiochia. Il racconto della sua vita, conversione e morte, è narrato per bocca dal diacono Giacomo, testimone e rivelatore del mistero della santa. Ella nacque da una famiglia catecumena, non frequentò mai la chiesa, si pentì e affidò la sua vita all’ascesi. Nel testo, ha notevole risalto la figura del vescovo Nonno, religioso la cui esistenza non è comprovata da alcun documento storico. Nonno viene descritto come vescovo del monachesimo cenobitico di Tabennesi, l’ordine fondato da Pacomio, e poi arcivescovo di Eliopoli. Il testo proposto è privo, per scelta di redazione, della prefazione dell’autore.

VITA DI SANTA PELAGIA MERETRICE

I.
Sua santità l’arcivescovo della città di Antiochia convocò a sé tutti i vescovi che abitavano nelle terre circostanti. Si radunarono così otto vescovi, fra i quali vi era anche il santissimo Nonno, il mio vescovo, uomo straordinario e monaco votato all’ascesi, proveniente dal convento dei Tabennesioti. Dopo che ci ebbe radunati, dunque, ad Antiochia, l’arcivescovo ci invitò a fermarci nella basilica del beato martire Giuliano; vi andammo e rimanemmo là dove anche tutti gli altri vescovi convenuti si erano fermati a riposare, davanti alla porta della basilica.

II.
Mentre eravamo lì seduti, alcuni vescovi domandarono al vescovo Nonno di poter ricevere i suoi insegnamenti; e subito, dalle sue labbra, il santo vescovo tenne un discorso sull’edificazione e sulla salvezza, ma mentre ammiravamo la sua beata e santa dottrina, ecco che all’improvviso passò in mezzo a noi la prima delle attrici di mimo di Antiochia, che era anche la più importante danzatrice del coro. Ella procedeva seduta su un asinello, e venne avanti con grande appariscenza, adornata al punto che nulla su di lei si vedeva se non oro e gemme preziose. Al suo seguito, vi era un corteo di servitori1. Alcuni la precedevano, altri la seguivano. Nessuno era in grado di saziarsi del suo splendore e della sua bellezza regale. E costei, passando al nostro fianco, riempì tutta l’aria del profumo di muschio e della fragranza degli aromi di cui era ricoperta.

III.
Quando i vescovi la videro passare tanto invereconda, a viso scoperto, spudorata, con tutti quegli ossequi, al punto di non essersi neppure coperta il capo o le spalle con un velo prezioso, distolsero lo sguardo, come per scampare a peccato gravissimo. Il beatissimo vescovo Nonno, invece, le rivolse una lunga e profondissima occhiata, tanto che dopo il suo passaggio, era ancora lì immobile a osservarla. Poi distolse anch’esso lo sguardo, emise un gemito profondo e disse ai vescovi seduti attorno a lui: Non vi allieta una tale bellezza?, ma quelli rimasero in silenzio senza parlare.

IV.
E Nonno pose gli occhi sulle ginocchia e bagnò il saio di lacrime […], ma poiché essi non parlavano disse di nuovo: Io mi sono assai rallegrato della sua bellezza, perché Dio l’ha presa e l’ha portata dinanzi al suo terribile e spaventoso trono2 per giudicare sia noi sia il nostro episcopato. E di nuovo Nonno disse ai vescovi: Pensate a quanto tempo ha passato questa donna nella sua camera per prepararsi, lavarsi, imbellettarsi, ornarsi con ogni premura d’animo perché piaccia a tutti e non apparire brutta alla vista dei suoi amanti che oggi ci sono e domani non ci saranno più. Noi invece, che nei cieli abbiamo un Padre onnipotente, uno sposo eterno, che promette ricchezze celesti e l’immortalità a coloro che onorano i suoi incontrovertibili insegnamenti, e che non è raggiungibile al cuore dell’uomo, cosa aggiungere? Noi che ci onoriamo della promessa di ammirare quel volto splendente3, il volto preziosissimo dello sposo, del Dio Eterno, su cui neppure i cherubini osano posare gli occhi4: non ci abbelliamo, né ci orniamo di ricchezze, né ci ripuliamo dallo sporco, restiamo anime misere abbandonate alla negligenza.

V.
Ciò detto, mi prese con sé e ce ne andammo nella nostra camera. E lì si gettò sul pavimento e picchiando il volto per terra, in lacrime, esclamò: O Dio onnipotente, perdona me indegno e peccatore, poiché gli ornamenti di un unico giorno di una meretrice hanno superato gli ornamenti della mia anima. Con quale volto mi rivolgerò a te? Con quali parole mi giustificherò al tuo cospetto? Non ti potrò nascondere nulla, o mio Dio, perché tu mi osservi dall’alto e conosci i segreti celati nel mio cuore. E guai a me, indegno peccatore, che al tuo altare mi presento senza offrirti quella bellezza dell’anima che tu reclami. Lei ha promesso di piacere agli uomini e così ha fatto; io invece ho promesso di piacere a Te, Dio eterno e misericordioso, e non sono riuscito a mantenere la parola data. E per questo ora sono nudo, così in cielo come in terra, incapace di adempiere ai precetti dei tuoi comandamenti. Dunque, per me non resta alcuna speranza di salvezza attraverso le opere buone, tutto resta sospeso nella tua immensa misericordia, per la quale confido di essere salvato. E dunque Nonno si addolorava in tali discorsi, e altri ancora, e così passammo la giornata del sabato.

VI.
Il giorno dopo, terminate le preghiere notturne, Nonno mi disse: Ti racconto, fratello diacono, di un sogno che ho fatto e che mi ha turbato fortemente, perché non riesco a interpretarlo. E subito mi raccontò cosa aveva visto in sogno: Nel sogno ero in piedi presso il corno dell’altare e lì vicino giunse una colomba nera, ricoperta di fango, che mi volava attorno, e io non riuscivo a sopportare il fetore del suo lerciume. Essa mi volò attorno fino a quando non terminò la preghiera dei catecumeni. E non appena il diacono ebbe proclamato ai catecumeni di uscire, la colomba subito scomparve. Dopo la liturgia dei fedeli e il compimento dell’offerta, l’assemblea si sciolse. E come uscii dalla soglia della casa di Dio, la sudicia colomba ritornò, e prese a volarmi intorno. E così stesi la mano e la presi e la gettai in una vasca d’acqua nel cortile della chiesa, e lei lasciò nell’acqua tutto il suo sudiciume e uscì bianca come la neve, e spiccò il volo, e si allontanò dal mio sguardo.

VII.
Dopo che il santo vescovo Nonno mi ebbe raccontato del suo sogno, insieme ci allontanammo e arrivammo alla Grande Chiesa di Antiochia assieme agli altri vescovi, e lì salutammo l’arcivescovo. E quando arrivò il momento dell’ingresso dei preti, l’arcivescovo ci esortò tutti a entrare insieme a lui, e noi entrammo. E dopo lo svolgimento della liturgia e la lettura del sacro Vangelo, l’arcivescovo consegnò nelle mani di Nonno il sacro Vangelo, e lo esortò a predicare al cospetto del popolo. Poi accadde un fatto: per ordine del disegno divino giunse nella chiesa anche la meretrice di cui abbiamo parlato. E il fatto più stupefacente fu che ella si presentò come catecumena, lei che mai si era inquietata dei suoi peccati e mai si era recata nella casa di Dio per pregare. E mentre il santo Nonno predicava davanti al popolo tutto, fu così ferita dal timore di Dio che disperata prese a piangere un fiume di lacrime impossibili da trattenere. E dunque ordinò a due dei suoi servi: Aspettata qui, e quando il santo vescovo Nonno finirà la predica seguitelo e scoprite dove abita. I servi fecero ciò che gli era stato ordinato e seguendoci arrivarono alla basilica del beato martire Giuliano. Poi, tornati indietro dalla loro padrona, le riferirono: Vive nella basilica del martire Giuliano. Udito ciò, attraverso i servi, lei gli fece recapitare una tavoletta che conteneva questo messaggio: Al santo discepolo di Dio, una peccatrice e discepola del diavolo. Ho udito del Dio che tu veneri, che ha piegato i cieli ed è disceso sulla terra5, non per i giusti, bensì per i peccatori6, e che nonostante la sua immensità, si è seduto alla tavola di viziosi e pubblicani; Lui, su cui neppure i cherubini osano posare lo sguardo, ha vissuto con i peccatori. Ora, signore, tu possiedi una grande santità, anche se non hai vissuto coi tuoi occhi lo stesso Gesù che si manifestò alla donna samaritana al pozzo7, tu sei un vero adoratore, come ho ascoltato da innumerevoli cristiani. Se allora sei davvero un discepolo di Cristo, non respingermi, perché attraverso di te chiedo di essere salvata e di vedere il Santissimo volto.

VIII.
Il vescovo Nonno allora le rispose per iscritto: Chiunque tu sia, il mio Dio ti conosce, e conosce la tua volontà. Detto ciò, ti suggerisco solo di non mettere alla prova la mia debolezza: io sono uomo e peccatore, quindi, se hai un ardente desiderio di Dio e hai profonda volontà di incontrarmi, con me ci sono sette vescovi: vieni e incontrami in loro presenza, poiché da sola non puoi incontrarmi.

IX.
Quando la meretrice lesse la risposta del vescovo, si levò piena di gioia e si recò alla basilica del beato martire Giuliano e rivelò a tutti la sua presenza. Nonno, udito ciò, prima di presentarsi, chiamò a raccolta i vescovi e ordinò di farla entrare. Appena entrata, la meretrice si gettò in lacrime per terra e afferrò i piedi del vescovo Nonno e tra i singhiozzi prese a dire: Ti prego, mio signore, abbi pietà di me peccatrice, e imita il tuo maestro, Gesù Cristo, e riversa su di me la tua bontà e rendimi una cristiana devota. Mio signore, io sono un dirupo di iniquità, sono un’indegna peccatrice, ma ti prego, discepolo di Dio, non respingermi, battezzami.

X.
Il santo vescovo la convinse con sforzo a rialzarsi dai suoi piedi, e quando lei si fu alzata le disse: Nei canoni della liturgia c’è scritto di non battezzare una meretrice senza garanzie, affinché non precipiti ancora negli stessi mali. Nell’udire queste parole, la meretrice si gettò ancora ai piedi del vescovo e li lavò con le sue lacrime e li asciugò con i suoi capelli8 dicendogli tra le lacrime: Se respingi di battezzarmi, risponderai a Dio della mia anima e ascriverò a te le mie azioni inique. Non troverai la ricompensa divina se non mi renderai estranea ai miei spregevoli comportamenti. Rinnegherai Dio e adorerai gli idoli se oggi non mi farai sposa di Cristo.

XI.
E così tutti i vescovi e i chierici radunatisi, comprendendo che la peccatrice parlava risospinta dal desiderio di Dio, ammirati affermarono che mai avevano contemplato una fede e un ardore di salvezza tanto grandi. E subito mi inviarono presso l’arcivescovo della città per riferirgli ogni cosa e perché sua beatitudine ordinasse di inviare dalla meretrice una delle sue diaconesse. E subito giunsi lì e riferii al santo vescovo queste cose, e lui rallegrato mi disse: Sì, venerabile fratello, ciò che mi dici è ciò che attendevamo. E ora so anche che tu sarai la mia bocca9. E subito inviò insieme a me la più importante tra le diaconesse, la signora Romana.

XII.
Giunti lì, trovammo la meretrice ancora ai piedi del santo vescovo Nonno, che a fatica la esortava a rialzarsi da terra dicendo: Alzati da terra, figlia mia, se vuoi essere benedetta. E poi soggiunse: Confessa i tuoi peccati. E la meretrice rispose: Se esamino la mia coscienza, non trovo in me un solo grano di opera buona. I miei peccati invece, sono più numerosi dei granelli di sabbia nelle rive dei mari, e l’acqua stessa dei mari, infatti, è così poca paragonata ai miei peccati. Nondimeno, confido che il tuo Dio sia tanto misericordioso da sbrogliare il peso delle mie iniquità e rendermi salva. Allora il santo Nonno le disse: Dimmi il tuo nome?, e lei rispose: Alla nascita fui chiamata dai miei genitori con il nome di Pelagia, ma il popolo di Antiochia mi ribattezzò Margherita, per via dello splendore degli ornamenti con cui i miei peccati mi adornavano. Io infatti, sono stata il fregio più prezioso del diavolo. E di nuovo il vescovo Nonno disse: Il tuo nome è Pelagia?, E lei: Sì, mio signore. Ciò udito, il vescovo la esorcizzò, la battezzò, la segnò ungendola con l’olio santo e le consegnò il corpo di Cristo. La diaconessa signora Romana divenne la sua madre spirituale, e la accolse e l’accompagnò nel giardino dei catecumeni, perché lì stavamo noi insieme agli altri vescovi.

XIII.
Allora il vescovo Nonno mi si avvicinò e mi disse: Fratello diacono, oggi ci rallegreremo assieme agli angeli di Dio10 e riceveremo olio santo e berremo il vino con allegria spirituale per la salvezza di questa giovane. E mentre desinavamo sentimmo delle grida, come di uomini che subiscono martirio: e giunse il diavolo, nudo, le mani sul capo, e urlò: Oh! Quale prepotenza subisco da quest’anziano ottuso e decrepito? Non ti sono bastati i trentamila Saraceni che mi hai sottratto e che hai battezzato in nome del tuo Dio? Non ti è bastata Eliopoli, un tempo luogo a me devoto, ora squarciata e offerta al tuo Dio immondo? Ora mi hai sottratto anche colei che ritenevo la mia speranza più grande! Non sopporto più i tuoi inganni! Oh, cosa non ho subito da questo vecchio maligno! Disgraziato sia il giorno in cui sei nato11: diluvi di lacrime hanno inondato la mia umile casa, trascinandola via insieme alla speranza!

XIV.
Il diavolo gridava tutto ciò furibondo, e tutti i vescovi e i chierici e le diaconesse potevano sentirne le grida. E poi si rivolse alla giovane Pelagia, e le disse: È così che mi ripaghi, imiti il mio Giuda? Allora il santo vescovo Nonno le disse: Segnati con la croce di Nostro Signore Gesù Cristo e rinuncia al diavolo. E Pelagia così fece: si segnò nel nome di Cristo, e il diavolo svanì.

XV.
Ma il diavolo ritornò due giorni dopo, di notte, mentre Pelagia dormiva nella sua stanza con Romana, la madre spirituale. La svegliò e le sussurrò: Margherita, mia signora, è così che mi ripaghi? Non ti ho forse ricoperta dei gioielli più preziosi? Oro, argento e perle? Ti chiedo, in cosa ti ho afflitta? Rispondimi, così da renderti grazia e contentezza, e non essere deriso dai cristiani. E Pelagia si fece il segno della croce e soffiò ancora sul diavolo dicendo: Il mio Dio ti punirà, diavolo; Lui che mi ha sottratta dalle tue zanne affilate, e mi ha liberata nel suo talamo celeste. E ciò detto il diavolo svanì.

XVI.
Il terzo giorno Pelagia chiamò il servo che sorvegliava i suoi beni e gli disse: Va’ nella mia casa e annota su una pergamena ciò che posseggo e portami tutto l’oro, l’argento e le gemme preziose. Il servo fece come gli era stato comandato di fare e ritornò consegnando tutto nelle mani della sua padrona. A quel punto, Pelagia, tramite Romana, la madre spirituale, fece chiamare il vescovo Nonno e gli consegnò tutto ciò che possedeva dicendogli: Mio signore, queste sono tutte le ricchezze di cui mi ha fatto dono il diavolo; le consegno a voi, e mi rifaccio al vostro santissimo giudizio, perché ora non ne ho più bisogno, poiché tutto ciò che voglio è solo la ricchezza spirituale del mio sposo, ossia Gesù Cristo.

XVII.
E il vescovo Nonno subito chiamò l’anziano economo della chiesa, e in presenza di lei gli affidò tutti i suoi beni e gli disse: In nome della santissima Trinità ti prego di non consegnare questi beni alla chiesa e all’episcopato, ma consegnali ai poveri, agli orfani e alle vedove affinché il male diventi benevolenza e tutte le ricchezze della peccatrice diventino tesori di giustizia. E se a spregio della promessa, per causa tua o di chiunque altro, sarà sottratto un solo bene, la condanna entri nelle vostre abitazioni e abbiate la stessa pena di coloro che gridarono: Sia crocifisso, sia crocifisso! Pelagia convocò e liberò i suoi servi e le sue serve; e donò loro tutte le sue collane d’oro, dicendogli: Liberatevi in fretta da questo mondo corrotto e colmo di peccato; così come abbiamo convissuto così rimarremo: uniti, senza dolore, nella vita beata.

XVIII.
All’alba dell’ottavo giorno, Pelagia si denudò della vesta battesimale e si rivestì di una tunica di tessuto ruvido e della cotta del santo vescovo Nonno, e scomparì da Antiochia. Sua madre spirituale Romana pianse amaramente e il vescovo Nonno tentò di consolarla, dicendole: Non piangere12, ma gioisci; Pelagia ha scelto di stare con gli onesti, come accadde per Maria.

XIX.
Poco tempo dopo, l’arcivescovo di Antiochia convocò tutti i vescovi e ordinò loro di ritornare alle proprie sedi episcopali. E dopo tre o quattro anni, io, diacono Giacomo, ebbi il desiderio di recarmi a Gerusalemme per adorare la Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. E così chiesi al mio vescovo Nonno di andare, e egli accettò dicendomi: Fratello diacono, quando sarai a Gerusalemme, cerca un monaco eunuco di nome Pelagio, che da anni e anni pratica recluso l’ascesi: incontralo, perché ne trarrai profondo giovamento. E questo è ciò che mi diceva Nonno riferendosi alla serva di Dio, ma questo non me lo rivelò.

XX.
E dunque mi recai presso Gerusalemme e lì venerai la santa Resurrezione. E l’indomani mi misi alla ricerca dell’asceta Pelagio. E andai e lo trovai sul monte degli Ulivi, nel luogo dove il Signore aveva pregato, in una cella murata che aveva solo una modesta finestrella. E battei sulla finestrella e lei si rivelò, e mi riconobbe; io, invece, non la riconobbi. Come potevo mai riconoscerla, se fino a pochi anni prima avevo ammirato quella sua bellezza ineguagliabile, mentre ora era avvizzita a causa dell’estrema privazione? I suoi occhi erano dei pozzi; i tratti sfiancati dalla fame. Mi disse: Perché sei qui? Risposi: Perché mi ha parlato di te il santo vescovo Nonno. Disse: Che preghi per me, perché egli è un vero santo. Poi chiuse la finestrella e iniziò a salmodiare l’ora terza. Io rimasi a pregare accanto alla parete della sua cella, e poi mi allontanai, avendo tratto giovamento dalla sua fede celestiale. Ritornai a Gerusalemme e visitai i monasteri e incontrai e parlai e pregai coi santi fratelli vescovi.

XXI.
Presso i monasteri, si diffuse grande fama del nome dell’asceta Pelagio. Decisi di ritornare da lui una seconda volta, per ascoltare i suoi insegnamenti. Ma quando giunsi alla sua cella, e bussai e lo chiamai per nome – ossia Pelagio – egli non rispose. Rimasi lì per tre giorni. Perseverando. Ma egli continuò a non rispondermi. Poi mi dissi: Il monaco eunuco se non mi risponde avrà lasciato la cella. E poi, colto da fervore divino, dissi ancora: Controllerò che non sia morto, e così aprii la porticina della finestrella e vidi l’asceta morto.

XXII.
Richiusi la porticina, la sigillai con del fango e mi recai velocemente a Gerusalemme. Lì annunciai al popolo che il santo monaco eunuco Pelagio, colui che compiva incanti, era morto. E così la notizia raggiunse tutti i monasteri nei dintorni, e si raccolse una moltitudine di monaci, e tutti presero la via per il monte degli Ulivi, fino alla cella del santo eunuco Pelagio. La finestrella fu aperta, il piccolo corpo del santo fu portato fuori e riposto su uno scranno e ornato con oro e pietre preziose. E giunse sul luogo anche il reverendissimo arcivescovo di Gerusalemme, insieme ai santi padri, e mentre i vescovi e tutti i monaci si prodigavano a ungere il corpo per il rito funebre con la mirra, allora i presenti si accorsero che Pelagio era una donna. E si levarono grida confuse, e poi al popolo fu esclamato: Gloria a te o Dio misericordioso, che hai innumerevoli santi celati sulla terra, non solo uomini, ma anche donne! E notizia del prodigio si spanse all’intero popolo, e giunsero tutti i monasteri delle vergini, da Gerico fino al Giordano, con ceri, fiaccole e canti. E così i resti della santa furono condotti in processione, e le spoglie deposte in luogo santo.

XXIII.
E questa è stata la vita di una meretrice. Una donna che sembrava senza speranza. E che Dio faccia trovare anche a noi, insieme a lei, la misericordia nel giorno del giudizio.


1 Dn 5,7
2 Ap 7,9
3 Ap 22,4
4 1Pt 1,12
5 Sal 18,10
6 Mt 9,13
7 Gv 4
8 Le 7,38
9 Ger 15,19
10 Lc 15,10
11 Ger 20,14
12 Lc 7,13

A cura di Gerardo Spirito

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